La grandezza della partita di Manaus sta nella sofferenza della squadra. E sottolineiamo squadra. L’Inghilterra era diversa: giocatori forti e rapidi in attacco, ma non sempre legati al resto del gioco. E per fare un altro esempio, il Brasile, visto al debutto, è lontanissimo dal nostro concetto di squadra. Se attaccata, l’Italia non si disunisce, non si perde, non cede. Di gruppi più solidi dell’acciaio ne abbiamo avuti almeno due, quello dell’82 e quello del 2006, vedremo più avanti se anche questo può raggiungere lo stesso livello. Ma il concetto di gruppo è diverso dal concetto di squadra, oggi in campo ci vanno con un’idea comune, con una strategia condivisa. A Manaus giocavamo senza Buffon, De Sciglio e Montolivo, ma il prodotto è rimasto inalterato. E quando qualcuno non riesce a entrare in questo sistema (Balotelli fatica), c’è una squadra intera che lo spinge nella direzione giusta.
In questo Mondiale abbiamo fatto solo un primo passo. Ci aspettano altri momenti difficili, ma quell’ondata di scetticismo che muoveva più la gente della critica si è fermata. Per trasformarla in ottimismo ci vogliono altre partite come quella di Manaus. Ma certi processi di cambiamento hanno bisogno di tempi adeguati. Se ne riparlerà a Recife. Poi a Natal. E speriamo anche più avanti.