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Anche arbitri senza coraggio né sensibilità

Getty Images

Un giorno ricorderemo il Qatar come il Muro del calcio. Non è ancora dato di sapere se sarà stato una Grande Muraglia sentiero di conoscenza oppure una barriera berlinese eretta a difesa dell’ignoranza e della prevaricazione. La scelta sta forse nella coscienza di ciascuno.  

E vi dico la mia. Nei primi giorni del Mondiale abbiamo registrato una grande curiosità sull’ipotesi che le federazioni utilizzassero le fasce dei capitani per trasmettere e incoraggiare valori quali la solidarietà, l’inclusione, il rispetto dei generi e della libertà in senso lato. Immediatamente la Fifa, andando oltre i suoi compiti, doveri e diritti, ha azzerato tutte le buone intenzioni promettendo (minacciando) cartellini gialli a chiunque avesse promosso “strane” iniziative. E in seguito abbiamo dovuto ascoltare e leggere molti commenti quasi tutti tendenti a sottolineare la mancanza di coraggio da parte delle nazionali e dei loro capitàni: “Cosa vuoi che sia un’ammonizione davanti a un’iniziativa civile così nobile!”. 
Gli invitati a guardar la luna si misero a guardare il dito. Ad esempio Gianni Infantino. Tutti a prendersela con Nerone - responsabilità oggettiva - nessuno con Tigellino, l’esecutore dei suoi ordini, in particolare quelli sciagurati. E chi è Tigellino?  
Fuor di metafora, la classe arbitrale. Nessuno ha voluto analizzare la posizione dei direttori di gara. Nessuno ha sottolineato come essi siano ormai parte integrante di quella potente e ricchissima macchina organizzativa che tira i fili di tutti e per tutti. Non un arbitro ha messo a repentaglio il posticino al sole per difendere la libertà di espressione che ovviamente non avrebbe dovuto offendere nessuno, né tantomeno pregiudicare il regolare svolgimento della partita. Agli arbitri diventati pretoriani una fascia arcobaleno non dovrebbe sembrare un’infrazione al regolamento. Ma ormai il loro motto è ufficiale: “Ok, Nerone”.  

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