Questo è stato ed è il Mondiale della transizione generazionale, la cerimonia della perdita dell’innocenza per tanti giovani e tante Nazionali che da questo momento in avanti non avranno più posti dove nascondersi: a ogni torneo saranno costretti a occupare il loro seggio periglioso da protagonisti. Julian Alvarez, Azzedine Ounahi, Jude Bellingham, ma anche personalità già in partenza molto note come Kylian Mbappé, Phil Foden, Vinicius; e la scoperta di ciò che è in grado di fare il Marocco, e l’Africa in generale che ha proposto quattro commissari tecnici nati o culturalmente radicati proprio nei Paesi che rappresentano, e tutt’altro che impreparati; e il rendimento sicuro di varie squadre asiatiche, di tradizione ormai solida. Sono solo alcuni esempi delle idee e degli uomini che stanno cambiando il calcio internazionale. Dove conta di più, cioè sul campo. Ne abbiamo parlato e riparlato: le varie scuole procedono in ordine sparso ed è probabilmente la maniera più fruttuosa.
Chi punta sulla ricerca scientifica applicata alla preparazione, chi ritiene di avere ancora molto da imparare dai vecchi maestri europei, chi sceglie di uscire da ogni tutela e si prende il rischio di inventare in proprio. Il progresso verrà dalla naturale sintesi delle varie tendenze: qualche filone si seccherà, altri si fonderanno e il calcio nei prossimi anni assumerà un altro aspetto. Per i visionari può essere divertente immaginare il futuro prossimo. Ma è come per la fusione nucleare: occorre tanta energia per convincere la materia a comprimersi e a trasformarsi. Tempo e fatica prima che il processo divenga spontaneo. Le ultime partite, soprattutto, hanno dimostrato come persino in un ambiente ricchissimo di talento da scoprire e di immaginazione tattica il soffitto di cristallo opponga resistenza. Le stelle fisse che ci hanno guidato per un mucchio di tempo - quindici anni almeno di giocatori, una trentina di allenatori profondi e carismatici - sono ancora viste come troppo brillanti perche si possa lasciarsele alle spalle senza rimpianti. Molte lo sono davvero.
All’età in cui nella fase finale del Novecento gli atleti venivano pensionati d’ufficio, oggi i fuoriclasse non hanno alcuna intenzione di passare la mano. Leo Messi, anzi, non è mai stato tanto vicino a insediarsi come terza (o quarta, o quinta) persona nell’Empireo che la retorica e l’immaginazione popolare vuole occupata dai sommi calciatori di ogni epoca: Pelé, Maradona, Cruijff per le menti sofisticate, pure Di Stefano per quelle più aperte. E adesso lui, dipende anche da come va a finire questo Mondiale. Luka Modric, in una Croazia che brilla per tecnica e affascina per razionalità, a trentasette anni è tuttora il catalizzatore decisivo. Spesso è dal suo umore di giornata che dipende il destino della squadra. Cristiano Ronaldo di anni ne ha quasi trentotto. Sulla sua armatura pazientemente costruita cominciano a pesare. Nonostante questo, l’Arabia Saudita per lanciarsi nella giungla dei megaeventi sportivi ha individuato CR7 come testimonial perfetto.
Resta il giocatore più seguito sui social e quando il Portogallo lo ha tenuto in panchina i fotografi che puntavano il campo erano meno di quelli che guardavano dalla parte opposta. Dalla vendemmia dei commissari tecnici caduti in disgrazia al Mondiale, inoltre, non sta venendo fuori un vino novello. Per andare sul sicuro, il Brasile fa progetti su Ancelotti. Il Portogallo chiede a Mourinho di tornare a casa. La Germania mette Flick sotto la tutela di una commissione che comprende i sempre ragazzi Rummenigge e Völler. E così via. È il fascino del solito.