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Zeman: «Il doping c'è ancora. Licata, Foggia e Pescara per me valgono Inter, Milan e Real»

L'allenatore del Lugano: «Potevo allenare le milanesi o il Madrid, ma per non non è mai stato importante dove allenare. Totti? In panchina sente freddo. Verratti è andato al Psg per sbaglio»

LUGANO - Intervista a tutto campo con Zdenek Zeman. L'allenatore del Lugano parla di tutto. E, come sempre, ne ha cose da dire. I microfoni sono quelli di Avvenire. I passaggi salienti sono questi. «In esilio a Lugano? Nessuno esilio. Qui è come stare in un’Italia più organizzata, più tranquilla e più pulita. Si chiama Svizzera italiana, ma per me è l’Italia svizzera. La televisione funziona bene, si vede anche la Serie A. Torno sempre a casa con piacere, ma non mi manca proprio niente. Anche perché non mi sembra che il calcio italiano stia vivendo la sua migliore stagione. In Europa ci sono almeno tre o quattro Paesi che “giocano calcio” superiore. Del calcio di queste parti si parla sempre male, ma a torto, non è così modesto. Ci sono tre squadre: Basilea, Grassoppher e Young Boys che non sfigurerebbero in Serie A».

L'ACCUSA ALLA JUVE - «Dopo quella frase sulle "farmacie" il sistema “non ci voleva”, e anche la mia carriera ha preso una direzione diversa. Troppo doping? Non è che lo penso, è un fatto dimostrato. Ci sono state inchieste... Studi scientifici come quello recente americano parlano di un 16% di atleti dopati. Troppi. Potevo allenare il Milan, l’Inter o il Real Madrid. Bloccato anche all’estero? Certo, perché tutto parte sempre da un “sistema interno”. Però per me non è mai stato importante dove allenare: Licata, Foggia o Pescara, nella mia idea di calcio hanno lo stesso valore del Real o del Barcellona». 

NESSUN RIMPIANTO - «Io però non ho nessun rimpianto. Il campo di Madrid è uguale a questo di Lugano, cambiano solo i nomi e i milioni che girano dentro e fuori i prati dei grandi stadi e il fatto che in panchina i grandi club vogliono “gestori” e non allenatori. Io sono rimasto un allenatore a cui piace ancora correggere il giovane che inizia a fare calcio. Il successo più grande per me è sempre stato veder crescere bene quel giovane…». 

DI FRANCESCO E' PRONTO - «Un tecnico da seguire? Eusebio Di Francesco. Fa giocare il Sassuolo nella maniera che piace a me. Oltre a Di Francesco però non vedo altre guide in Serie A… Io non avrò vinto niente, ma non ricordo altri che hanno conquistato titoli allenando Foggia, Licata o Pescara… Di sicuro con me i presidenti non hanno mai perso soldi. Anzi, siccome il calcio è diventato un business con me hanno pure guadagnato parecchio. Sono stati tanti i giovani che ho lanciato».

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DA TOTTI A VERRATTI - «Su Totti ho già detto, in panchina Francesco sente freddo... Verratti è finito al Paris Saint Germain per sbaglio. Quell’estate che salimmo in Serie A aveva molte offerte da grandi società italiane, ma poi a decidere è sempre una questione economica. Adesso Verratti guadagna molto, sta in una squadra dove ogni anno a Natale hanno già vinto il campionato, gioca la Champions al fianco di grandi campioni e forse riuscirà a realizzarsi meglio a Parigi che in Italia».  

NO ALLE NAZIONALI - «Qualche nazionale me l’hanno proposta, ma non è roba per me. Io voglio stare sul campo tutti i giorni e non incontrare i calciatori una volta ogni tre mesi. L’Italia non mi chiamerebbe mai, fare il ct è un incarico politico mica un lavoro qualsiasi. Rispetto ad altri Paesi e anche rispetto ad altri sport, nel calcio italiano si lavora molto meno. Una volta il sacrificio si faceva sul serio: tipo se perdevi una partita non si andava a ballare la sera, oggi le discoteche le chiudono i calciatori. Il calcio lo vivono tutti come un mestiere... Non hanno più la voglia di divertirsi e di allenarsi per migliorare». 

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