Però poi il pallone, il pallone di chi lo frequenta disinteressatamente, sembra rimbalzare in maniera originale, innaturale, impossibile decifrarne il punto di caduta, quando torna in pista l’uomo che ha fatto delle sconfitte un credo, delle vittorie un orizzonte, dei suoi rovesci una griffe inimitabile, del suo calcio in verticale un obliquo modo di pensare. Dove c’è Zeman, con le sue rughe profonde ed il suo calcio così antico nella sua modernità, c’è comunque una speranza, un’illusione, un’emozione e un fremito.
Un brivido, di gioia o di paura, in un calcio sempre più meccanizzato e asettico. Per questo il suo ritorno, anche per i suoi mille detrattori, è comunque una splendida notizia. In un calcio fatto di slogan, perché “primo non prenderle e le squadre si costruiscono partendo sempre dalle difese”, lui è stato, è e sarà uno capace di costringerti a guardarlo. Dai, vediamo cosa fa adesso quel fenomeno di Zeman. Perché, di quell’oratore muto, in un mondo che affoga di parole vuote, si tornerà a parlare ancora. Ed è questa la sua vittoria – una vittoria lunga 40 anni – se non è abbastanza chiaro. Dai, che la giostra è ripartita, accendete la Tv.