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Disperati ma con qualità

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«Siate disperati ma con qualità» il messaggio di Mihajlovic ai suoi prima della trasferta di Brescia alla quale non avrebbe potuto partecipare. Il senso di quell’invito i giocatori l’hanno capito soltanto durante l’intervallo quando - il Bologna sotto di due gol - Sinisa l’ha chiarito al telefono ribaltandoli con i toni che gli sono propri, dal letto dell’ospedale. I disperati hanno improvvisamente recuperato le qualità e, con le qualità, trovato il successo insperato.

Parto da qui perché da settimane assistiamo a qualcosa di travolgente, commovente, coinvolgente, un insieme di sentimenti, emozioni con accenti di spiritualità come il passaggio serale della squadra davanti alla finestra del Sant’Orsola, e Sinisa che si affaccia e saluta.

Non ha avuto bisogno di inventarsi richiami speciali Fonseca per accendere la Roma che in meno di mezz’ora ne ha fatti quattro al Sassuolo e altri quattro gol avrebbe potuto segnare. Veretout e Micki hanno alzato il livello del gioco e Kluivert, preferito a Zaniolo sotto “terapia di maturazione” (il passaggio in pochi mesi da zero a mille non l’ha totalmente metabolizzato), ha dato il meglio di sè: per la prima volta, dopo mesi, si è vista una Roma capace di chiudere in fretta la partita. Il secondo tempo è stato fortemente indirizzato dal primo e dai soliti squilibri difensivi. Rimediabili?

L’opposto ha fatto la Lazio a Ferrara dove proprio nella ripresa ha mostrato il suo lato debole: la squadra di Inzaghi non riesce ancora a crescere sul piano della mentalità, avrebbe tutto per mettere in difficoltà avversarie più attrezzate ma quando giunge il momento di dare continuità alle prestazioni inspiegabilmente rincula. Inzaghi si è assunto la responsabilità della caduta: non è ricorso allo schedario rotante di scuse.

Esasperanti ma con qualità. E la sosta delle nazionali, e il caldo delle 15, e il mercato troppo lungo, e il campionato arriva troppo presto, e siamo stanchi: la stagione è stata infinita e stressante, e poi ha cominciato a piovere, e abbiamo la squadra più giovane, e gli infortuni, e il terreno era troppo lento, e il terreno era troppo duro, e gli infortuni, e i fatturati, e i bilanci, e guardate il monte stipendi di quelli là, e le coppe che distraggono, e siamo tornati solo ieri dalla trasferta europea, e il turno infrasettimanale, e perché noi la domenica sera e loro il sabato pomeriggio e potrei andare avanti per settimane con il campionario delle giustificazioni del dopo-partita che riempiono la bocca degli allenatori - tutti, nessuno escluso, anche qualche straniero transitato dalle nostre parti, vedi Mou e Benitez - e le pagine dei giornali.

E inevitabilmente intervengono vecchie ruggini e nuovi antagonismi che incoraggiano le risposte più acide, come quella uscita dalla bocca di Antonio Conte - lui, sì, che se ne intende - intorno a mezzanotte quando i cronisti gli hanno ricordato le parole di Sarri a Firenze.

Chiusosi il mercato, l’avvelenata è passata da Marotta-Paratici a Conte-Sarri in quanto Juve con una frase che autorizza dietrologie di ogni genere: «Non vorrei dire niente perché altrimenti dovrei tirare in ballo i bilanci e gli stati patrimoniali. Dico solo che qualcuno dovrebbe stare tranquillo e pure sereno perché ora sta dalla parte dei più forti».

Il campionato è effettivamente cominciato sabato scorso e noi lo accompagniamo con soddisfazione e senza alcun imbarazzo dal momento che lavoriamo con l’atteggiamento giusto disponendo di autori super referenziati quali, appunto, Conte e compagnia.

Il calcio arriva dopo: Juve e Inter non stanno giocando bene, e sono convinto che non sia una questione di temperature esterne, né di situazioni patrimoniali, ma di tempo e di pazienza. Mi riferisco soprattutto alla Juve di Sarri: non riesce ancora a fare a meno di Matuidi, Khedira e Higuain, che inizialmente non rientravano nei piani tecnici di società e/o allenatore e di riflesso condizionano il passaggio da una Juve a un’altra.

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