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Buona ex domenica

Inter via Getty Images

Buona ex domenica, perché domenica non è più domenica, ma “giorno 29” da quando il calcio, tutto si è fermato. Non pensavo che avrei potuto rimpiangere l’anticipo Spal-Brescia o un Parma-Samp alle 12 e 30 di quella che fino a poco tempo fa chiamavamo, appunto, domenica. Non so cosa darei, oggi, per poter commentare Bologna- Lecce: accetterei perfino che finisse senza alcun tiro in porta, nonostante Mihajlovic e Liverani amino la proposta più che la risposta. E che belle quelle incazzature dopo Inter-Juve, e quanta vita c’era negli esercizi di ipocrisia e luogocomunismo di tecnici e dirigenti: «Non parlo mai degli arbitri», «torti e favori alla fine si compensano ma, certo, oggi il signor Orsato (o Rocchi o Maresca) ha fatto un disastro e ci ha penalizzato. Andate a rivedere l’azione del rigore, ma quale fallo di mano! Siamo stufi di fare da cavia del Var». Quanta nostalgia delle incazzature ecumeniche di Nicchi o delle battute senza filtro di Capello al Club, frasi che il giorno dopo andavano puntualmente ad arricchire tutti i siti d’Italia.

Quant’era divertente e sano ascoltare gli interventi paracestitici dell’appassionatissimo Lele Adani guardandoci in faccia e domandandoci «ne sa, ma come cazz’ parla?». E i titoli dei giornali, anche i più banali ora sembrano prove d’intelligenza: Vince ma non convince, Bufera a San Siro, Roma-arbitri: è scontro, Comanda la Juve (un must), Ronaldo c’è. E le sfide a distanza Leotta-Ferrari? Ma sì, anche quelle (in verità la Leotta è presentissima sul web, ma in altre svesti). E le telefonate del lunedì degli uffici stampa, gli esperti in (s)comunicazione? «Il tal dirigente (o allenatore) c’è rimasto male per quello che avete scritto. Mi spiace dovervelo dire, ma da domani i vostri cronisti non potranno accedere al centro sportivo. Vedremo nei prossimi giorni, magari se vi comporterete con più rispetto…».

Solo degli episodi di razzismo non sentiamo la mancanza: speriamo anzi che l’abbia annientato il virus - il razzismo - contagiandoci senza distinzione di pelle, lingua, etnia.

Alcuni dicono: fermate il calcio, voglio scendere. Ma scendete voi, noi restiamo sul pullman fino a quando non si arresta per evitare il burrone. Proviamo a fidarci dell’autista, anche perché fuori piove e sono gocce enormi come i debiti. E se qualcuno si accorge che non abbiamo neppure pagato il biglietto, siamo fritti.

Ricordate quel saggio che disse «il calcio è metafora della vita»? Vi regalo un passatempo domenicale, un pensiero, una riflessione: la vita è la metafora del calcio.

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