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Ripartenza campionato: quarantena ultimo ostacolo

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La quarantena è l’ultimo ostacolo da saltare. I virologi insistono su una tempistica – i quattordici giorni di isolamento – incompatibile con lo svolgimento del campionato. Il primo positivo nello staff di Mihajlovic lo dimostra: da ieri il Bologna ha sospeso gli allenamenti collettivi. Se accade a campionato iniziato, lo stop di due settimane di una sola squadra può fermare tutto. Ci sono 1400 persone da monitorare per due mesi e mezzo: sono i calciatori, gli allenatori, i preparatori, i match analist, i dirigenti e i magazzinieri dei venti club di serie A. Che uno di loro possa contagiarsi, pur con tutte le precauzioni del protocollo, è una circostanza quasi probabile. Ed infatti è già accaduto. Non si tratta, come recita il saccente comunicato del comitato tecnico scientifico, di “ipotizzare un trattamento particolare per i professionisti del calcio”, ma di stabilire misure di profilassi compatibili con l’obiettivo di garantire la conclusione del campionato. Né si tratta di mettere in discussione, come continua la stessa nota, “il rigore etico con cui il comitato affronta i problemi legati alle riaperture del Paese”. Perché, se ci fosse meno etica e più scienza nelle decisioni di questo sinedrio di scienziati, non sarebbe poi una tragedia.


Sennonché la quarantena di quattordici giorni non più ha nulla di scientifico, se per scientifico deve intendersi una decisione logicamente coerente con le evidenze della scienza. La scienza dimostra che l’incubazione del coronavirus è più breve. La tecnica rende disponibili test attendibili per verificare la negatività dei cosiddetti contatti stretti del contagiato. Un Paese che impiega la scienza e la tecnica per salvarsi adegua la prevenzione ai loro dati e ai loro rimedi, non a una burocrazia virologica astratta. C’è poi un aspetto giuridico. I consulenti del comitato tecnico scientifico si richiamano a un’ordinanza del ministro della Sanità emanata il 21 febbraio, il giorno del primo caso accertato a Codogno. Nella quale si dispone la quarantena obbligatoria di quattordici giorni per chiunque sia venuto in contatto stretto con un malato di Covid. Ma il 18 maggio scorso il governo ha regolato la materia con un decreto legge, cioè con una normativa di rango superiore, che àncora la fine della quarantena al tempo della guarigione o della negatività. Che si certificano con l’inesistenza o la cessazione dei sintomi e con due tamponi negativi.
Com’è costume di questo Paese, la modifica è avvenuta in maniera ambigua, senza abrogare esplicitamente la disposizione precedente, ma prescrivendo regole e procedure diverse e alternative a quella: sono così caduti tanto l’obbligatorietà, quanto il vincolo temporale dei quattordici giorni, sostituito con il tempo dell’accertamento della negatività o della guarigione. Sarebbe il caso che la Federazione, per il tramite di un giurista, lo facesse presente agli scienziati. Che, adusi a occuparsi di scienza e di etica, forse trascurano il diritto. O piuttosto sarebbe il caso che il governo intervenisse con una norma interpretativa. Per evitare che la ripartenza del calcio, ma anche del Paese, fosse un risiko tra gli equivoci, perduto prima ancora di giocare.

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