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In gioco e in fuorigioco

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In gioco e in fuorigioco AC Milan via Getty Images
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Se Samp-Milan si fosse giocata in Inghilterra - non ieri, naturalmente: il Regno Unito è in lutto stretto - la squadra di Pioli si sarebbe ritrovata sul 2-0 nel primo tempo: in Premier il fuorigioco di pochi centimetri (o chirurgico) è bandito. Da noi invece basta un capello fuori posto (io me ne intendo) e il gol viene annullato; il risultato, molto spesso condizionato. Ma così funziona il Var Italia e a chi tocca non s’ingrugna.

Il Milan di Pioli - l’ha confermato anche a Marassi dove è rimasto in dieci per un tempo intero - sa fare buon calcio; il destino, antipatici scherzi. L’espulsione per doppio giallo di Leao pareggia infatti i conti con l’assenza per infortunio di Osimhen nel Napoli, l’avversario che domenica prossima è atteso a San Siro in una sorta di riproposizione meno qualitativa e romantica delle sfide di fine anni 80.
Milan e Napoli avanzano dunque faticosamente e di corto muso (definizione allegriana che sarà presto registrata dalla Treccani): lo scarto minimo premia anche l’Inter, ora a due punti dalle prime.
Tre cose finalmente buone in casa Inzaghi: la prestazione di Handanovic, il migliore in campo (ha tenuto più volte in vita il risultato e la squadra), l’ostinata e lucida ricerca della vittoria contro il nuovo Toro che è avversario forte e scomodissimo, e il coraggio di Simone i cui cambi sono stati funzionali al tentativo di aggressione finale, peraltro riuscito: nei 20 minuti della svolta ha avuto il fegato di puntare su Bellanova e Gosens, rinunciando a Dumfries e Darmian, esterni in debito d’ossigeno, ma anche su Correa e Mkhitaryan.

Il "rigoroso" de Ligt

Giudicato da qualcuno - non da me - strepitoso quando mercoledì ha battuto l’Inter in Champions, il Bayern si è fermato (di nuovo) in campionato. Aspettando le partite di Friburgo, Union Berlin, Mainz e Colonia, è comunque in testa alla Bundesliga insieme all’Hoffenheim e allo stesso Friburgo, che oggi affronta il Moenchengladbach. La squadra di Nagelsmann ha 12 punti in 6 partite; l’anno scorso, dopo altrettante giornate, era ugualmente leader (solitario, però) ma di punti ne aveva 16, grazie ai 7 centri di Lewandowski, ieri una rete e due assist con il Barcellona.
Protagonista in negativo, de Ligt che da quando si è trasferito in Germania parla del nostro calcio come non aveva mai fatto nelle stagioni juventine. L’olandese, al quale il pallone scotta spesso tra i piedi, al 92’ - con un intervento scriteriato - ha provocato il rigore che ha consentito allo Stoccarda di pareggiare.
Mathijs de Ligt è lo stesso che, sempre mercoledì, ha spiegato a Fabio Capello che «alla Juve si faceva molta tattica, tanti schemi e poca intensità. Quando sono arrivato a Monaco - ha aggiunto - mi mancava lo sprint e ho avuto delle difficoltà iniziali proprio negli scatti».
Sospetto che, sentendosi dare del tactics addicted, Allegri si sia offeso.

PS. Il ricordo del collega Roberto Renga, morto ieri, l’ho lasciato a Giancarlo Dotto, che con lui lavorò dieci anni: la nostra conoscenza è stata esclusivamente radiofonica. Mi ha colpito il tweet con il quale Roberto ha voluto congedarsi dal mondo e dagli affetti: era di passioni forti, spigoloso al punto che anche prima di andarsene non ha voluto perdonare tutto e tutti. «Dio mi perdonerà, è il suo mestiere», disse Heinrich Heine prima di morire. Roberto era un uomo e faceva un altro mestiere.

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