Forse il calcio italiano non è da buttare come crediamo o ci diciamo da anni. E’ diventato un leitmotiv del pensare comune perché in fondo, il nostro, è un Paese al quale piace dire che in quello degli altri si vive meglio, lamentandosi a priori di quello che si ha. La verità, però, è un’altra e se accompagnata da numeri e fatti, allora, qualcosa vorrà pur significare. Soprattutto nel giorno in cui un’italiana torna a giocarsi il tetto d’Europa, la coppa che tutti sognano e vogliono. L’Inter si gioca la Champions per la seconda volta in tre anni e non possono esser un caso nemmeno la Conference vinta dalla Roma e l’Europa League dall’Atalanta. Sono sinonimo di un calcio che, tutto sommato, una sua qualità ce l’ha e la esprime anche. Poi le finali si possono vincere o perdere, ma gli episodi determinano gli ultimi novanta minuti, non un percorso che quasi mai è frutto della casualità.
Serie A, un’alternanza che fa bene
Quello appena concluso, infatti, è stato uno dei campionati di Serie A più belli ed emozionanti che si ricordano nell’ultima decade. Per la seconda volta in tre anni, tutto si è giocato all’ultima giornata. E no, non era la Premier League, la Liga o la Bundes, ma il calcio italiano che per un niente ha sfiorato anche l’idea, o il brivido, di essere deciso con uno spareggio in caso di arrivo a pari punti da parte di Napoli e Inter. Qualcosa che non accadeva dal 1964 quando a giocarsi il titolo furono, ancora i nerazzurri, ma contro il Bologna. Insomma, un finale che sembrava quasi scritto da una regia da film oscar e che ci fa dire come la Serie A abbia il suo appeal. Certo il fatturato della Premier oggi resta un sogno, ma a livello di spettacolarità e di democrazia calcistica, il nostro calcio non ha nulla da invidiargli. Tanto più se parliamo dei campionati spagnoli, francesi o tedeschi. Basti pensare anche all’alternanza degli ultimi sei anni. Dopo un monopolio Juventino sono arrivati quattro vincitori diversi negli ultimi 5 anni. Milan, poi due volte il Napoli con in mezzo il successo dell’Inter, il ventesimo della sua storia che gli è valso la seconda stella.
La Serie A dal vivo piace
Insomma, il nostro è un calcio che, seppur tra polemiche e qualche macchia, resta divertente e il pubblico lo sa. Lo riconosce. Da cinque anni a questa parte la Serie A è ‘lo sport dal vivo’ per eccellenza, quello da vedere allo stadio, per cui vale la pena fare la corsa al biglietto, a prescindere se file siano reali o virtuali. In controtendenza con la Spagna, dove gli impianti si svuotano, e diversamente dall’Inghilterra, dove gli stadi sono pieni, ma trasformati molto più in un evento ‘corporate’. Agli italiani, invece, soprattutto dopo il covid piacere riempire i palazzetti e gli stadi. Che siano concerti, altri sport o calcio fa poca differenza. C’è una cultura dell’evento dal vivo come non vi vedeva da tempo e il ‘pallone’, oggi, ne è capofila assoluto. Anche qui ci sono dati oggettivi e incontrovertibili che lo dimostrano. Roma, Napoli, Milan, e Inter possono segnare un +10.000 spettatori medi a partita rispetto al pre-Covid. Al Maradona, piuttosto che a San Siro e all’Olimpico, poi, sono sempre stati presenti più di 30mila tifosi. Nel caso di Milan, Inter e Roma, poi, quasi mai si è scesi sotto i 60mila a partita. E non è tutto legato ai risultati perché se partenopei e nerazzurri si sono giocati il titolo fino all'ultimo, i rossoneri e i giallorossi, invece, hanno fatto sold out anche senza quella spinta data dalla corsa Scudetto.
Serie A, un teatro sociale di emozioni
I protagonisti del mondo del calcio, poi, non fanno altro che ricordarcelo. Il pallone è un teatro di emozioni. Sembra retorica spicciola, ma è così. E' un qualcosa che prescinde dalla ragione, si entra nel campo del sociale e dell’irrazionale. Perché una partita è quell’evento che mette sullo stesso piano due persone culturalmente e professionalmente diverse. Un rigore segnato, parato o sbagliato genera sentimenti uguali e contrastanti allo stesso tempo. Sono sceneggiature naturali che non hanno bisogno di essere scritte, ma forse solo rappresentate al meglio e la Serie A lo ha capito, soprattutto negli ultimi anni. Guarda non solo in casa sua, ma all’estero. Ai paesi arabi, a quelli americani dove il calcio non fa parte della propria cultura eppure anche lì stanno capendo l’importanza di un 1-0 da difendere a cinque minuti dalla fine. Il calcio, ma sarebbe corretto dire lo sport in generale, è dunque psicanalisi collettiva. Per questo una città o un paese intero si fermano quando gioca la propria squadra del cuore oppure se Sinner scende in campo o l’Italia di Velasco si gioca e poi vince un oro olimpico storico. Trattasi di emozioni, appunto. Una passione da coltivare e tenere accesa per renderla ancora più forte e far sì che, in questo caso il calcio, continui a crescere.