ROMA - Lorenzo De Silvestri non ha tatuaggi. Non li ha mai voluti, non ci pensa proprio. Eppure... «Beh, la vittoria della Coppa mi mette a dura prova. Diciamo che non lo farò, ma mi prendo qualche giorno per rifletterci». Il 23 maggio il capitano del Bologna soffierà su 37 candeline ma il compleanno è l'ultimo dei suoi pensieri. C'è una piccola in arrivo a fine luglio: sarà la prima figlia con la moglie Carlotta. Amatissima, desideratissima, attesissima. Un po' come la Coppa che ha alzato al cielo mercoledì notte. Le sue due case erano lì, a fare da cornice a una notte perfetta: quella romana, dove Lorenzo è nato e cresciuto e, appena possibile, torna. E la casa bolognese, che l'ha adottato: lì, in quell'eccellenza italiana che è il Sant'Orsola, nascerà sua figlia. E lì De Silvestri e sua moglie hanno acquistato una casa vera e propria, in questo momento in ristrutturazione.
Ha già previsto dove mettere la coppa?
«Vedremo, di sicuro la medaglia avrà un posto speciale».
Il trofeo ha dormito con lei mercoledì notte?
«No, è tornato a Bologna con allenatore e dirigenti. Giusto così».
Da cosa vuole partire, Lorenzo? Dall’inizio o dalla fine?
«Non saprei, ho dormito pochissimo dopo la partita, c'erano l'emozione, l'adrenalina, la gioia di quello che abbiamo vissuto. Per me è stata un po' la chiusura di un cerchio».
C'è una foto di lei, sua moglie con il pancione, la coppa e i suoi genitori.
«È tutto lì, davvero tutto lì. Tra qualche tempo, forse, realizzerò».
L'inizio di questa stagione: le cose non vanno benissimo, più di qualcuno non è convinto della scelta di Italiano.
«Fuori, forse. Noi siamo sempre stati sicuri, anche se nelle prime partite abbiamo faticato un po'. Ma era una questione di risultati perché abbiamo sempre creduto in quello che stavamo facendo. E poi, dopo che a Genova vincevamo 2-0 e siamo stati rimontati, qualcosa è cambiato».
Cosa?
«Ci siamo guardati, detti le cose in faccia e abbiamo affrontato insieme il momento duro. C'è una cosa che vorrei fosse scritta.
Prego.
«Il Bologna è una famiglia, ma soprattutto c'è un gruppo con un capitale umano incredibile. Io parlo spesso con i compagni, raramente alzo la voce e posso dire con assoluta certezza che questo è un gruppo, ripeto, magico».
Non si riferisce solo ai giocatori, vero?
«Esatto: l'allenatore, il suo staff, tutte le persone che lavorano dietro le quinte. Mi raccomando, scrivetelo. E poi la società: cito Sartori, Fenucci, Di Vaio, ma ogni persona che lavora per il Bologna mette in campo il massimo. E poi c'è Saputo: presente, attento, puntuale, mai invadente. Dimostra come si è leader».
Italiano che allenatore è?
«Passionale e appassionato, ci mette anima e corpo. Ha ragione quando dice che non è vincente solo chi alza i trofei e che conta il percorso che si fa. Ma è chiaro che per lui aver vinto è importantissimo: sono felice per il mister e il suo staff».
E per Bologna tutta.
«La mia Bologna, la mia città: c'è tutto, è casa».
Avrebbe scommesso dopo l'anno scorso che il Bologna avrebbe vinto una coppa, per di più dopo mezzo secolo?
«Mamma mia, 51 anni, incredibile. Vedere la gioia negli occhi delle persone, dei più anziani, è stato ed è davvero emozionante. Comunque magari non pensavo a una coppa così, però io una crescita la vedevo. Abbiamo seminato bene, anche con chi oggi non è più con noi».
A proposito, Calafiori vi ha chiamato subito.
«Sì, ma anche Soriano, Sansone, Zirkzee... Ci hanno scritto in tanti».
E Thiago Motta?
«Lui non l'ho sentito».
Immaginava le sue difficoltà alla Juve?
«Non parlo di cose che non so».
Che effetto le ha fatto festeggiare sotto la Curva Nord, una Curva che è stata sua?
«Prima parlavamo della foto con la coppa, mia moglie incinta e i miei genitori. Ecco, altri segni del destino: ho vinto la Coppa Italia con la Lazio nel 2009, sempre in questi giorni di metà maggio. Ero un ragazzino, adesso sono un uomo con una consapevolezza diversa. E poi ho pensato a Gabriele (Sandri, il tifoso ucciso nel 2007 sull'A1 e suo amico, ndr) che è sempre con me. E poi Sinisa...».
In tutto questo c'è una piccola ombra: la retrocessione della Sampdoria in C.
«Sono stato malissimo, mia moglie è di Genova, io sono molto legato a squadra e città, ho trascorso quattro anni meravigliosi. Ho tanti amici, ho cercato di consolarli. Ma una cosa mi fa avere fiducia: i tifosi della Samp, sempre presenti. Loro possono aiutare tutti».
Quella di mercoledì è stata la serata più bella della sua carriera?
«A livello emotivo forse sì. Poi certo, la Coppa con la Lazio, l'esordio in Nazionale, la qualificazione in Champions, ce ne sono stati di momenti magici. Ma questo è speciale».
E fa venire voglia di proseguire: il suo contratto scade a giugno.
«Quella c'era anche prima. Fisicamente mi sento bene, voglio continuare a giocare e vorrei farlo nel Bologna. Parlerò con la società, la mia volontà è chiara».
Ci dice la vostra canzone? "L'anno che verrà", "Poetica" o...?
«Queste due più "We are one". Sono state e sono la nostra colonna sonora».
Ultima cosa: una sola parola per descrivere la Coppa Italia 2025.
«Pazzesca. Come Bologna. E poi ne aggiungo un'altra: famiglia».