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Makoumbou esclusivo: "Il Cagliari, il razzismo e l'amore: vi racconto tutto di me”

La storia del centrocampista raccontata in prima persona: “Sono felice di aver raggiunto le 100 presenze in rossoblù, Nicola è un riferimento essenziale” 

CAGLIARI - Antoine Makoumbou ti lascia di stucco. Parla di argomenti spinosi con leggerezza e profondità allo stesso tempo e non ha paura a dispiegare il suo sorriso coinvolgente anche nei passaggi difficili del discorso. Arriva “scortato” da Vito Pascale, collaboratore tecnico di Nicola, per far tradurre dal francese alcune sfumature del ragionamento. Ma l’italiano non gli è estraneo, capisce al volo le domande ma non vuole essere frainteso nel rispondere. Durante l’intervista è puntiglioso come in campo e non ha paura di assumersi le responsabilità. «Non mi nascondo mai» dice il 26enne centrocampista, nato a Parigi ma di origini congolesi, in possesso di doppio passaporto e di due anime: «Sono francese e congolese allo stesso tempo» spiega sorridendo, con il cappellino in mano, tolto prontamente dal capo al momento delle presentazioni. Un gesto non banale né scontato. Meglio prendere nota.  

Makoumbou, parigino-congolese. Qual è la sua storia? 

«I miei genitori si sono trasferiti da Brazzaville, capitale del Congo, in cerca di opportunità. L’Europa rispetto all’Africa offre più possibilità di lavoro. In Francia mio padre gestiva una boulangerie, ha cresciuto me, mio fratello e due sorelle lavorando duramente». 

A Villejuif, sobborgo della capitale francese. Non esattamente Montmartre. 

«Diciamo che era una zona difficile. Razzismo? Come dappertutto, fa male ma mi sono abituato a farmi scivolare tutto addosso».  

Un problema diffuso nel calcio a tutte le latitudini. Lo ha mai sentito sulla pelle? 

«Un paio di volte, lo scorso campionato. Non da parte dei miei avversari ma dei tifosi. Non è certo piacevole». 

A Cagliari, invece… 

(Ride di gusto) «Qua sono africani come me, la Sardegna è un’isola molto accogliente, un mix di culture mediterranee».

Il primo impatto con il calcio? 

«Alla televisione, guardavo le partite con mio papà. Mai avrei pensato di diventare un professionista».  

Poi che cosa è successo? 

«Ho iniziato con i primi test e mi divertivo. A 12 anni sono finito al Monaco. Quindi, al Magonza in Germania e poi al Maribor, in Slovenia». 

E la carriera è decollata, sino alla chiamata del Cagliari nel 2022. 

«A dire la verità, non avevo grande idea di dove fosse la Sardegna. Conoscevo il Cagliari grazie alla Playstation e per averlo visto in tv. Quando sono stato ingaggiato ero felice. Mi piace stare qua». 

Che cosa, la squadra, la città? 

«Tutto, soprattutto il clima. Qua si vive bene e sono arrivato a giocare 100 partite con la maglia del Cagliari. Un bel traguardo, sono felice. Mi dà la forza di continuare e di migliorare ancora». 

A proposito, Nicola è un allenatore perfezionista che si è messo in testa di farla crescere. 

«Credo che mi stimi, mi dà tanti consigli. È una fortuna avere un allenatore così competente». 

E poi c’è la nazionale. Cosa significa per lei? 

«In Congo ci sono le mie radici, ho parenti e amici. È un grande orgoglio far parte della nazionale». 

La si accusa di tenere troppo il pallone tra i piedi. 

«Accetto la critica, ma dal campo ho un punto di vista diverso rispetto a chi vede la partita da lontano. Però, capisco di fare un lavoro che sta sotto i riflettori e quindi sono preparato a ricevere le critiche, non mi disturbano. Quelle costruttive sono uno stimolo a far meglio». 

Le manca il gol? 

«Oh, tanto. Ci penso continuamente. Arriverà, prima o poi». 

Il Cagliari lotta per la salvezza, come vede il finale di campionato? 

«Siamo sulla strada giusta, sappiamo che non sarà facile ma abbiamo fiducia e la certezza di poter crescere ancora». 

La gara con la Juve ha dimostrato che non è facile competere con le big del nostro campionato. Quali altre squadre l’hanno colpita? 

«L’Inter, senza dubbio. E anche l’Udinese, forte fisicamente ma anche molto tecnica». 

Udine evoca brutti ricordi per lei, un errore, una palla persa, il secondo cartellino giallo e l’espulsione. Un evento che ha modificato l’andamento della gara, finita poi con la sconfitta della sua squadra per 2-0.  

«Vorrei dimenticare tutto. Ma gli errori servono per migliorarsi, basta farne tesoro». 

Tra i suoi colleghi centrocampisti del campionato italiano chi stima di più? 

«Anguissa del Napoli, ma mi è piaciuto McKennie della Juventus. E poi Calhanoglu, fenomenale».  

Posso chiederle se è sposato? 

«No, non ancora». 

Fidanzato? 

(Nicchia un po’, sorride) «Ho una ragazza, francese ma di origini italiane e spagnole. Il nome lo tengo per me». 

So che ha come compagno di stanza Luvumbo. Che tipo è? 

«Zito fuori dal campo è come durante la partita, sempre in movimento, frizzante. Mi diverte molto e l’altro giorno è anche diventato papà. Era ora, visto che ha 35 anni. Lo scrivi questo, vero?».  E come no? 

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