Se all’estero lo chiameranno il cimitero degli elefanti, pazienza, ce ne faremo una ragione. Ormai il nostro campionato è sul fondo della parte migliore dell’Europa. Ma sarebbe meglio usare un’accortezza, perché se davvero di cimitero si tratta (ma ne siamo proprio sicuri?), allora non elefanti ma leoni, o ancora meglio tigri del Bengala, vista l’eleganza e la classe dei quasi quarantenni che vedremo in Serie A nella prossima stagione. L’ultimo arrivato è Edin Dzeko, neo viola, 39 anni compiuti nel marzo scorso, ex di Zeljeznicar, Teplice, Wolfsburg, Manchester City, Roma, Inter e Fenerbahce, dove l’anno scorso, coppe comprese, ha segnato 21 gol. Certo, il campionato turco non è chissà cosa, ma sotto molti aspetti mica è tanto distante dal nostro. Due anni fa ne aveva segnati 21 solo in Super Lig, vicecapocannoniere alle spalle di Icardi. In carriera è arrivato a 381 reti con i club, ne vanno aggiunte altre 68 con la Bosnia, l’ultimo segnato contro San Marino pochi giorni fa.
Molti lo classificano come “punta”, ma è riduttivo. Dzeko è un giocatore d’attacco, è un regista del reparto offensivo, è uno che vede prima di altri, intuisce, indirizza e spiega in campo. Difficile immaginarlo forte e atletico come negli anni della Roma e dell’Inter, ma la testa frulla bene e i piedi ancora rispondono. Avendo espresso nel mercato scorso ampio dissenso sull’operazione-Kean e visto poi come è finita, è meglio andare cauti (in senso opposto) parlando dell’operazione-Dzeko, ma l’idea non è sbagliata. Edin può giocare tranquillamente alle spalle di Kean (se resta) e, in qualche caso, anche al posto di Kean. Servirà anche a partita in corso, per raccogliere di testa i palloni che voleranno alti. Il precedente di Ribery (due anni a Firenze, 50 presenze, 7 gol e pochi spunti della sua vecchia classe), arrivato sull’Arno a 37 anni, ha lasciato in eredità ai fiorentini qualche traccia di diffidenza verso gli over 35, sta al bosniaco guadagnarne subito la fiducia. Sarà un maestro per i giovani del Viola Park, può insegnare il suo calcio e trasmettere le sue idee. E’ così che vediamo anche l’arrivo di Modric al Milan e la conferma di Pedro alla Lazio, altri quarantenni della Serie A.
Se Pedro si chiamasse Pietro, se fosse nato all’isola d’Elba invece che a Tenerife, resterebbe fuori dalla nostra Nazionale? Difficile, molto difficile. L’anno scorso, quando entrava nel secondo tempo, la Lazio faceva un balzo in avanti, in campionato ha segnato 10 gol, giocando poco. Quanto a Modric, a quale potrà essere il suo vero contributo nella squadra di Allegri, non siamo attendibili: è da sempre uno dei nostri giocatori più amati. Certo, non ha torto Luis Enrique quando chiede allo sceicco di non acquistare giocatori oltre i 24 anni. Ma se quei giocatori si chiamano Vitinha, Barcola, Doué, Joao Neves, se può tenere in panchina Gonçalo Ramos e Zaire-Emery, allora ok, tutti siamo per i giovani. Anche Allegri, anche Pioli, anche Sarri farebbero la stessa richiesta. Non sono Dzeko, Modric e Pedro a portare via lo spazio ai nostri ragazzi, anzi, da giocatori di quel valore possono imparare. Sono altri, che non alzano per niente il livello tecnico, a spingere ai margini i giovani italiani. Potremmo fare una lunga lista, ma non sarebbe di buon gusto. Largo ai giovani, ma non chiudiamo ai vecchi, o almeno a certi vecchi.