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Antonio Conte e la sindrome di San Sebastiano

Antonio Conte, ieri: «Quanto mi danno fastidio le critiche al nostro gioco? Ho capito che sono io il problema a prescindere. L’importante è che non tocchino l’Inter».
     Nella frase sono contenuti almeno tre errori: 1) nessuno - ripeto, nessuno - pensa che Conte sia il problema dell’Inter, semmai la soluzione: è soprattutto suo, questo scudetto; 2) criticare o, più semplicemente, non gradire il gioco di una squadra è un esercizio inoffensivo, previsto dal manuale dell’appassionato: non può essere considerata un’esibizione di coglionismo (cit. Nicola Berti); 3) al contrario, sarebbe opportuno che qualcuno “toccasse” l’Inter, ma soltanto per fare chiarezza - a beneficio dei tifosi - su reali condizioni e prospettive della società: da gennaio i silenzi di Suning, le dritte e le storte della comunicazione ufficiale (il “MinCulPed”) e le brutte voci che si rincorrono negli ambienti finanziari hanno prodotto esclusivamente divisioni, vergognose antipatie, falsi nemici: il tempo è galantuomo e lo sarà anche in questa occasione.
     Conte credo di conoscerlo abbastanza bene. Il primo incontro risale a ventisette anni fa, luglio ’94: un’intervista one to one nella palestra della Pingry School di Warren, nel New Jersey. Quel giorno fui il solo a chiedere di parlargli, lui quasi si sorprese, poiché quel Mondiale lo stava vivendo da centrocampista non-protagonista.
     La verità è che Conte gode di buona - e spesso ottima - stampa, nonostante non abbia mai cercato il consenso (gli riesce più naturale lo scontro a distanza), e non solo per i tre scudetti consecutivi consegnati alla Juve di Andrea Agnelli, che ha contribuito a far crescere. Ricordo, ad esempio, che uscì quasi da trionfatore dall’Europeo 2016, eliminato ai quarti dalla Germania (ai rigori): ad altri ct, portatori di risultati migliori, sono stati riservati trattamenti peggiori e talvolta anche pomodori (Valcareggi, finalista ’70, Bearzot ’86, quattro anni dopo il titolo mondiale, Donadoni 2008, fuori ai quarti con l’invincibile Spagna, Prandelli eurofinalista 2012). E tuttavia Antonio soffre della sindrome di San Sebastiano: succede quando, specchiandosi, ci si vede trafitti da frecce. Ma non è, il suo soffrire, dovuto ai nemici, il cui rumore eccitava Mourinho; teme, immagino, quello degli amici, soprattutto quando tentano di dargli dei consigli.
     Conte è fuori - a prescindere - dalla corsa allo “scudettino” (secondo-quarto posto), ma può condizionarla: oggi ha il Napoli, il 12 maggio la Roma e il 18 la Juve. Il 23 potrà finalmente far festa davanti a oltre 10mila interisti. Quelli all’interno dello stadio. Fuori, saranno molti di più.

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