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Inter, a Barcellona il romanzo imita la vita

Il Barcellona è legato all’Inter fin dall’alba dei Sessanta, quando Angelo Moratti gli portò via Helenio Herrera e poi Luisito Suarez, il cui tesoretto permise alla società di sistemare lo stadio. Curiosamente, perno delle trattative era stato Alfredo Giorgi, corrispondente della “Gazzetta dello Sport”.

LIVE Inter-Barcellona

La storia, del calcio e non solo, deve molto al Barça. Dal Franchismo che spinse Alfredo Di Stefano verso il Real, esacerbando i rancori, ai moti di autonomia che ne hanno agitato e orientato la saga. Per Manuel Vazquez Montalban, figlio del “Barrio chino” e papà del detective Pepe Carvalho, «Tifare per il Barça, identificarsi con esso, ha significato anche interpretare un impegno politico. Barcellona ha sempre mantenuto un forte carattere nazionalistico e questo le ha creato intorno una certa aura contestataria. Del resto, uno dei suoi presidenti fu fatto fucilare dal Caudillo».

Javier Cercas, romanziere dell’Estremadura, ha dedicato fior di libri al morboso argomento che scuote la Spagna: «Il catalano che non vuole l’indipendenza, non ha cuore; quello che la vuole, non ha testa». In ambito sportivo, ci sono state due ere. Una, di campo, con i giocatori in copertina. Laszlo Kubala su tutti. L’altra, di cattedra, con Rinus Michels (dal 1971) e Johan Cruijff (dal 1973) confini netti, di rottura. Il filone olandese. Insieme, nel ’74, firmarono uno “scudetto” che mancava da 14 anni.
E poi Cruijff allenatore. L’epoca del “dream team”, la prima Coppa dei Campioni (nel 1992 a Wembley: 1-0 alla Sampdoria) ma pure lo 0-4 di Atene, disarmato dal Milan dell’astuto Fabio Capello. Nel solco del maestro, ecco Louis Van Gaal, Frank Rijkaard e Ronald Koeman, sino a Pep Guardiola, Luis Enrique e Xavi, “olandesi” di pensiero. Il Barça è diventato, nel tempo, una scuola, uno stile. Narrano che, a un passaggio sbagliato da Nils Liedholm, il popolo di San Siro si alzò in piedi e lo applaudì a lungo, testimone commosso di un episodio così enorme, così leggendario. La stessa cosa è successa nella Liga allorché, dopo secoli, i “blaugrana” chiusero una partita con un possesso palla inferiore al torello dei rivali. Dalle Ramblas, inoltre, transitò quel Mourinho José che, nel 2010, e proprio alla guida dell’Inter, ne avrebbe pugnalato i sogni. Il tiki-taka nato attorno a Leo Messi, Andrés Iniesta, Xavi e Sergio Busquets ha scolpito un periodo, non meno dei crateri lasciati, sul piano economico, dalla balorda gestione di Josep Maria Bartomeu.

Là dove c’era Ronaldo il fenomeno, oggi c’è Robert Lewandowski il cecchino. Se l’Ajax, per dirla con Michel Platini, coniò il calcio totale, il Barça di Guardiola ci ha insegnato il calcio totalizzante, del quale siamo rimasti prigionieri, come spesso capita ai “simulatori” più goffi. I tifosi del Barça si chiamano “culé” perché, stipati e sporgenti dai muri dell’antico impianto di “Les Corts”, offrivano le natiche alla vista dei pedoni. Più che una domanda, il Barcellona continua a essere una risposta: ai “realisti” delle bacheche e al realismo della vita.

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