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Lukaku, una firma d’amore

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Entra, segna e decide: altro che minestra riscaldata

Perché riprenderlo. Le minestre riscaldate non hanno mai lo stesso sapore. Quando mai quelli che tornano hanno funzionato. Inutile farsi prendere dalla nostalgia dell’amarcord: è stato bello, ma era meglio chiuderla lì. 
Trascrivo sommariamente un condensato degli umori e degli stati d’animo che circolavano ultimamente per Milano. E non solo per Milano. Quel Lukaku sempre infortunato, più fuori che dentro, era una pista di discesa libera per gli scettici e i disfattisti da ballatoio. Soldi buttati, ma finiamola con questi vecchi, mai che andiamo a prenderci un giovane serio. Poi basta mezz’ora. A certa gente, a certi artisti, non serve molto. Il rottame che nessuno adorava più, rinnegato come lontano parente del Lukaku prima maniera, proprio lui riprende per i capelli un’Inter sempre più incartata e la carica a pallettoni per giocarsi la qualificazione ai quarti di Champions. 
Diranno quelli che negano sempre, come consiglia l’avvocato, negare tutto anche l’evidenza, diranno che adesso è facile parlare perché ha fatto un gol. Ma sarà bene chiuderla subito con questa arrampicata sugli specchi, perché il rumore delle unghie diventa fastidioso. In mezz’ora Lukaku non si limita a segnare un bellissimo gol (dopo palo sempre suo), ma lo segna pesante e decisivo, il che conferma come certi artisti si esprimano meglio quando ci si gioca l’intero piatto, quando i risultati e le situazioni si fanno scabrosi, quando insomma quelli vaporosi evaporano e quelli duri dureggiano. 
Quanto poi all’attendibilità di questo ritorno, cioè se sia un ritorno vero e credibile o soltanto un estemporaneo regalo del caso, lo decideranno le prossime partite. Intanto, a corredo del gol, Lukaku aggiunge mezz’ora da dominatore, perché suoi sono i duelli decisivi, suo il più succulento assist sulla linea di porta che Lautaro manca di un’unghia troppo corta, suo addirittura il quasi 2-0 che all’87 soltanto il grande portiere del Porto gli nega con parata istintiva. 
È tanto, è tantissimo, come ritorno. Sono luci a San Siro che in qualche modo si riaccendono, nel momento più cupo della partita e nel modo più dirompente che si potesse immaginare. Lukaku torna alla Lukaku. L’Inter ha un nuovo centravanti, maledettamente somigliante al Lukaku che conosceva. Sembrano gemelli fatti e finiti. A Dio piacendo, se le rotture hanno finito di rompere, anche il campionato italiano ritrova un centravanti d’alta gamma, uno del livello degli Osimhen: non ci sono dubbi, non possono esserci perché Lukaku sa ancora fare le stesse cose. 
Le minestre riscaldate, le storie che si ripetono, i ritorni di fiamma: in definitiva tutto è relativo, possono fallire e possono funzionare, inutile stabilire una stupida regola. Alcune finiscono nella malinconia, altre ricominciano come nuove. Almeno, va riconosciuto a Lukaku di non essersi pigramente accomodato nella bambagia dell’inevitabile declino: Lukaku è vivo e lotta ancora, come nei migliori anni della nostra vita. Che non sempre sono soltanto quelli passati. 

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