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Inzaghi e il calcio relazionale dell’Inter: così ha vinto lo scudetto

Tre stagioni di lavoro ad Appiano Gentile e un modello tattico perfezionato nel tempo: vi spieghiamo la filosofia del tecnico e del suo staff  

L'incrocio a Formello risale all’estate 2010. Simone, cedendo ai dolori alla schiena, si era appena ritirato. Lotito e Tare gli avevano affidato gli Allievi. Si apriva il percorso da allenatore. La domanda classica. Come giocherai? Un sorriso e il gusto per la battuta, mai passata di moda, una sua caratteristica. «Modulo 4-2-3-1 con gli esterni d’attacco alla spagnola. Calcio champagne, ci divertiremo». Sette anni dopo, mollata la Primavera e attraversando la prima stagione sulla panchina della Lazio, sarebbe passato alla difesa a tre. Un marchio di fabbrica indelebile e caratterizzante su cui ormai lavora - in costante progresso e supportato da uno staff tecnico all’avanguardia - dai primi mesi del 2017. Max Farris, il suo vice, lo assiste nel curare i meccanismi della difesa. Mario Cecchi, il tattico arrivato da Empoli, sviluppa i movimenti di centrocampo e attacco. Riccardo Rocchini, secondo di Baroni ai tempi del Benevento, sorveglia e osserva l’Inter dall’alto, comunica dalla tribuna con l’auricolare e il sostegno in tempo reale dei match analyst.  

L'evoluzione di Simone Inzaghi 

Simone e i suoi collaboratori non si sono mai fermati, perfezionando un 3-5-2 che nella passata stagione era stato criticato e messo in discussione (imputavano a Inzaghi la mancanza di un piano tattico alternativo) come era successo in precedenza alla Lazio. In tempi recenti, invece, ha riscosso consensi unanimi, strappando persino gli applausi di Arrigo Sacchi. Non è più un modulo statico e invariabile. «Simone mi sembra un allenatore più europeo, è sulla strada giusta per diventare uno stratega. Prima era tattico, giocava sugli errori degli avversari. Ora crea calcio, continua ad attaccare per segnare il secondo gol, non si chiude in difesa. Il suo obiettivo è dominare il campo» l’analisi dell’ex tecnico del Milan. Luciano Spalletti, invece, a Coverciano ha tenuto una lezione agli allenatori e ha parlato di “calcio relazionale”, indicando l’Inter come un modello da seguire per le connessioni e la libera interpretazione del gioco attraverso la sintonia dei suoi calciatori. Il gol di Bisseck al Dall’Ara sfruttando il cross di Pavard (definito “da terzo a terzo” nel gergo di Coverciano) rappresenta il manifesto ispiratore dei neo campioni d’Italia. Squadra imprevedibile, piena di risorse e di soluzioni, in cui tutti difendono e tutti attaccano senza dipendere soltanto dalla vena realizzativa di Lautaro e Thuram. E’ un calcio totale e offensivo. 

Movimento 

Qualche giorno fa, ritirando al Coni il premio intitolato a Bearzot, Simone parlava della trasformazione tattica dell’Inter a cui abbiamo assistito nell’ultimo periodo. Il divertimento e l’entusiasmo del gruppo lo hanno aiutato. «Il calcio si sta evolvendo, tante volte sento parlare di moduli, difesa a quattro oppure a tre. Parlerei di occupazione degli spazi. Lavoro all’Inter da tre anni, partiamo con un assetto, ma poi andiamo a occupare gli spazi con gli stessi calciatori. Può capitare, in un momento della partita, che i tre difensori diventino centrocampisti. Lavoriamo per portare la squadra a muoversi e pensare nello stesso modo. Ho la fortuna di allenare giocatori maturi e funzionali, altrimenti non avremmo ottenuto certi risultati». Il ct dell’Italia all’Europeo si presenterà con il blocco dell’Inter e un’idea di calcio fluida, cosiddetta liquida, imprevedibile. Il gioco è rimasto lo stesso, sono cambiate le definizioni rispetto al passato. Differenze impercettibili, a volte persino esagerate o sofisticate, quasi da scienziati agli occhi del pubblico. Eppure è materia di studio per gli allenatori.  

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