Il 3-3 di Barcellona è stato un inno al calcio. Dumfries è il simbolo di "una splendida squadra sottovalutata, l'Inter, il Biscione, il grande serpente verde, presente sullo stemma dell’Inter fino al 1988. E proprio come il Biscione, l’Inter si muove silenziosa, ma letale. A tenere insieme questo gruppo c’è Inzaghi, uno degli allenatori più brillanti d’Europa. Solo quest’anno, però, inizia a ricevere il giusto riconoscimento. La sua Inter è la squadra più riconoscibile e tatticamente unica tra le quattro semifinaliste: solidissima in difesa, creativa in attacco". Parole e musica del New York Times in calce alla meraviglia del Montjuic, in attesa della controprova del 6 maggio a San Siro che si annuncia altrettanto entusiasmante.
Meglio tardi che mai, vien da dire e non soltanto "perché solo quest'anno inizia a ricevere il giusto riconoscimento" anche dall'altra parte dell'Atlantico. In realtà, sono quattro anni che Inzaghi sta facendo mirabilie alla guida dell'Inter: 1 scudetto, un secondo e un terzo posto, il secondo attuale; 2 Coppe Italia, 3 Supercoppe, 2 semifinali di Champions League nelle ultime tre stagioni; 137 vittorie, 40 pareggi, 34 sconfitte, con una percentuale di vittorie del 64,93, record nei 117 anni di storia nerazzurra. Simone sta dando "un contributo straordinario" (Marotta dixit) alle fortune della squadra e della società, incamminata lungo la direzione virtuosa del risanamento dei conti grazie anche ai massicci introiti derivanti dai successi nazionali e internazionali (la sola Champions 2024/2025 sinora ha assicurato 133 milioni di euro, incassi casalinghi esclusi). Fa piacere sapere ne abbia preso atto pure il New York Times. Già che c'è, sul versante tricolore può scoprire quanto numerosa sia la compagnia dei critici improvvidi e biliosi di uno fra i migliori allenatori in circolazione.