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Maledetta sincerità

Bob Marley disse che «siamo talmente abituati a persone che ci prendono per il culo, che quando finalmente conosciamo qualcuno che è davvero sincero cerchiamo sempre qualcosa che non vada». La cosa che non va in Maurizio Sarri è, almeno per il momento, la Juventus. E’ lui stesso, alla sesta sconfitta stagionale, ad autodenunciarsi «in difficoltà, non riesco a far passare i concetti». E non funziona neppure il metro arbitrale europeo che lo spinge a una dichiarazione “socialmente” rischiosa: «In Italia ci sarebbero stati due rigori per noi. A livello europeo c’è un metro diverso, dobbiamo adeguarci».
Alle ammissioni del dopo-Lione potremmo aggiungere la frase che pronunciò al San Paolo, dal quale uscì battuto, poco gradita dalla tifoseria juventina: «Se proprio bisogna perdere, meglio che sia contro di loro».
Naif? Inadeguato? O più semplicemente onesto, sincero, diretto. Mi riesce naturale rispondere fedele a se stesso e quindi incapace di fingere, di cambiare a seconda dell’abito o della tuta che indossa.
Sarri ha 61 anni, è nel calcio da sempre, è un uomo di buone letture e interessi, non un parvenu, parla un italiano ricco, non ci serve mai frasi fatte.
Ma si può essere sinceri fino all’autolesionismo, se si ha la fortuna di allenare la squadra più importante e vincente d’Italia e tra le top d’Europa?
È successo l’impensabile: il pensiero del professionista dell’informazione è arrivato a incrociarsi con quello dell’opinionista; peggio: del battitore dei social, segno di un’insolita quanto solleticante confusione. Siamo tutti psicologi. Forse non ci interessa tanto scoprire perché la Juventus gioca cosí male, perché l’allenatore è o sembra non all’altezza. Cerchiamo l’uomo. Missione degna d’altri scopi. Più alti.
Forse basterebbe ricorrere al passato, alla storia, ai cosiddetti precedenti. La supposta novità del gioco, il lungo viaggio nel calcio minore, l’improvvisa scoperta della sua genialità toscaneggiante non vi fanno pensare a Orrico?

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