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Caso Juve, il moralismo adesso non è morale

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Prendete una vicenda di grande clamore mediatico in un ecosistema che, da sempre, offre terreno fertile per sfogare passioni e rivalità. Metteteci la cassa di risonanza delle intercettazioni, sempre buona per titillare il gusto voyeristico di spiare dal buco della serratura le stanze dei personaggi famosi. Aggiungete la forza distruttiva dei social e la debolezza di un’informazione che da essi troppo spesso si fa trainare facendosi rimorchio, anziché guardiano, della libertà di espressione. Otterrete un materiale altamente esplosivo che la miccia del populismo fa detonare nel giustizialismo più distruttivo. Nella vicenda della Juventus si devono ancora accertare responsabilità penali ed eventuali trasgressioni alle norme di giustizia sportiva ma la tribuna dell’opinione pubblica si è già divisa tra innocentisti (quasi sempre tifosi) e colpevolisti (per lo più avversari). Da una parte si denunciano persecuzioni, dall’altra si invocano pene esemplari. Perciò abbiamo sempre badato a commentare la vicenda sul piano della corretta gestione aziendale, della difesa del mercato e delle lezioni che l’ecosistema può assimilare per riformarsi e migliorarsi. Sapendo che qualsiasi decisione gli organi della giustizia sportiva assumeranno, quando sarà il tempo, oscillerà pericolosamente da un crinale assai instabile.

Da un lato, la necessità di assicurare sanzioni giuste e proporzionare a tutela della credibilità del sistema. Dall’altro, evitare il clamoroso autogol che potrebbe arrivare abbandonandosi a istinti distruttivi e pulsioni da cupio dissolvi. Che finirebbero inevitabilmente per danneggiare l’intero movimento calcistico italiano, mai come in questa fase storica bisognoso di investimenti esteri e di valorizzare la competitività del suo prodotto per venderlo sul mercato internazionale dell’intrattenimento. Per questo la politica deve essere responsabile, facendo argine davanti agli istinti frettolosi. Dichiarazioni in libertà, lanciate per smania di visibilità o necessità di distinguersi, rischiano di fare danni. Stupisce non poco, ad esempio, trovare immerse nello stesso pentolone la valutazione di comportamenti poco ortodossi da parte di alcuni soggetti e la richiesta legittima, rivolta alla politica da tutta l’industria, di agevolazioni minime già accordate ad altri settori produttivi.

Il calcio ha le sue colpe, anche gravi. Da queste colonne le abbiamo sempre evidenziate senza risparmiare nessuno ma è giusto ricordare che il calcio professionistico contribuisce, da sempre, con un saldo molto positivo alle entrate dello Stato. Qualche tempo fa osservammo come abbia restituito in un decennio al bilancio pubblico quasi 13 miliardi a fronte di circa 800 milioni di contributi erogati, nello stesso periodo, dal CONI alla FIGC. Sacrosanto invocare sostegno per la pratica di base e le società minori perché un movimento non sostiene il vertice se la base non è solida. Giusto anche non trascurare gli altri sport ma non si può dimenticare come gran parte delle risorse generate dal sistema provengano dal vertice della piramide che non può essere sempre maltrattato in nome del facile populismo. Concedere ragionevoli dilazioni nei pagamenti all’erario non costituisce chissà quale vessazione del contribuenti e non esclude aiuti materiali alle società di base. Collegare esternazioni di indignazione che strappano dalla tribuna l’applauso scrosciante è il facile consenso della platea, a vicende giudiziarie in cui le responsabilità sono tutte da accertare ci pare operazione troppo rischiosa.

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