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L’eclettismo olandese e il Mottismo

L’eclettismo olandese e il Mottismo ANSA
Leggi il commento sull'addio di Thiago Motta alla Juve

Mai disturbare la nemesi che sbadiglia. Le basta un pretesto, uno qualsiasi, per saltare giù dalla storia e colpire. Se non, addirittura, infierire. Direte: c’è appiglio e appiglio, ma la cronaca impone fughe in archivio per spiegare gli esoneri in edicola. La rivoluzione olandese degli anni Settanta, avviata da Rinus Michels e accesa da Johan Cruijff, abolì il ruolo fisso, mescolò le funzioni, trasformò le zolle in molle. I difensori dovevano attaccare, gli attaccanti dovevano difendere. Ci ubriacammo di slogan, ignari delle conseguenze, prodighi di sorrisi supponenti nei confronti di coloro che, come l’Osvaldo della Bovisa - il Bagnoli del leggendario scudetto del Verona, nel 1985 - ci ricordavano la saggezza della scuola italianista, vecchia non non rimbambita: «Il terzino faccia il terzino». 

A mezzo secolo dall’eruzione del vulcano batavo, la Juventus del «fu» Thiago Motta incarna il lato oscuro della luna cantato dai Pink Floyd. Così fosco, alla luce delle sette pere (a zero) raccolte tra Dea e Viola, che fatichiamo a orizzontarci, tale è il labirinto in cui mister «Stranino» si era ficcato. Ed ecco allora che, di processo in processo, la polifunzionalità scade a mera, e grezza, baraonda tattica, e, in assenza di una maniglia sicura - che, in linea di massima, dovrebbe essere la stabilità della formazione - l’eclettismo precipita nel generico. 

In altri tempi, le sei posizioni occupate da Weston McKennie - centrocampista, trequartista, esterno sinistro, esterno destro, ala destra, centravanti - sarebbero state offerte all’encomio e agli studi dei più sofisticati seminari. Lo stesso dicasi per il nomadismo di Teun Koopmeiners (trequartista, play basso, centravanti, ala destra) o Kenan Yildiz (ala sinistra, ala destra, trequartista, centravanti). E anche Andrea Cambiaso, Timothy Weah e Nico Gonzalez potrebbero aggiungere, in materia, fior di indizi. 
Invece no. Fiaschi e fischi. Tifosi ringhiosi ed esperti strabici. Ogni rivolta si porta dentro paradossi antichi, oltre che frontiere misteriose. Il «totaalvoetbal», se preso troppo alla lettera, implica rischi non lievi, come certifica la splendida azione, nel primo tempo di Milan-Como 2-1, sciupata dalla piccozza di Yunus Musah: cose che succedono quando al tiro, per conto dei nuovi Luteri, si presentano gli sherpa e non i Reinhold Messner. 
Il fascino dello sport si annida nella perentoria staffetta tra i muri e i ponti che dividono e mischiano ricette e dogmi, botteghe e laboratori, pensieri forti e pensieri unici. Rimane, sullo sfondo e al fondo dell’attuale scorcio (e sconcio) juventino, il bordello ambientale e strategico che aveva coinvolto e mutilato l’approccio «dominante» della manovra. L’analisi non tocca quell’Olanda e questa Juventus - mica sono matto - ma il trasloco sommario dell’idea che, lungi dal riempire un progetto, ha svuotato una squadra imbottita di nozioni e avara di emozioni. 
Gli specialisti, costretti agli arresti domiciliari dalla furia dei modaioli, sfilano garruli con gli appunti di Bagnoli al posto dei quaderni di Mao-Michels. E il «Tuttismo», convertitosi d’improvviso nelle manette punitive del Mottismo, guarda e passa. 

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