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La vocazione europea del 3-5-2 di Inzaghi

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La Lazio nella scia dell'Atalanta. Una lezione ai tedeschi del Borussia Dortmund: ecco perché la continuità di lavoro e la rigidità del modulo pagano in Champions

ROMA - Mezz’ora, anzi quasi l’intero primo tempo, da applausi. Triangoli, combinazioni, tocchi di prima. Bellissima e accecante la Lazio al debutto nei gironi di Champions League. Uno spettacolo. Autentica lezione di calcio ai tedeschi del Borussia Dortmund, sbilanciati e presuntuosi. Qualità altissima di palleggio e ripartenze, trainate dagli scatti di Immobile e Correa, dai ricami di Luis Alberto e Milinkovic, dalle percussioni di Fares e Marusic. Leiva teneva alto il pressing, come è accaduto quando la Scarpa d’Oro ha sbloccato il risultato, strappando il pallone dai piedi di Bellingham. E Acerbi, traslocato nel ruolo di Radu, sembrava una furia. Sulla fascia sinistra, con la spinta del difensore azzurro e di Fares, più le intuizioni di Luis Alberto, la Lazio ha creato i presupposti per tirare fuori una prestazione sontuosa, asfaltando i gialloneri con una mezz’ora da favola. E qui entra in ballo la vocazione europea di Simone Inzaghi e il valore aggiunto del 3-5-2. Puoi sbagliare una partita come è successo a Marassi, soprattutto se ti mancano gli esterni di ruolo (ecco la vera fragilità biancoceleste: ne ha solo tre di livello in attesa di Lulic), ma alla lunga la continuità di lavoro paga. Si è visto benissimo in Champions, dove l’intesa, i meccanismi consolidati e la capacità di trovarsi sul campo a occhi chiusi hanno permesso alla Lazio di sorprendere il Borussia Dortmund. Non ci si può e non ci si deve meravigliare della trasformazione rispetto al crollo di Genova. Contano lo spirito e le motivazioni, certo. E’ cresciuta l’attenzione in fase difensiva e la disponibilità collettiva al sacrificio e alle coperture. Ma si gioca anche un altro tipo di calcio, molto meno tattico rispetto alla Serie A. I gialloneri hanno concluso la partita con il 65% di possesso palla senza essere quasi mai stati pericolosi, tolte le iniziative di Erling Haaland, un fenomeno vero, perché abbina una velocità irresistibile a un fisico gigantesco. Forse già oggi è il centravanti più forte del mondo. Il Borussia Dortmund faceva paura quando teneva palla e saliva verso l’area, ma era totalmente inesistente quando giocava la Lazio. Sancho non ha mai contrastato Acerbi, Reus inesistente nella fase di non possesso. E poi il centrocampo a due in cui si infilavano tutti. Favre ha schierato due centrocampisti centrale contro il trio, anzi la linea a cinque, della Lazio. Uno era il belga Witsel, un ex trequartista, un tempo quasi considerato seconda punta. L’altro era l’inglese Bellingham, 17 anni: per quanto si possa ritenere un futuro asso e sia stato pagato 30 milioni, era all’esordio in Champions e lo ha sofferto al punto di essere sostituito nell’intervallo. Il calcio è una combinazione di qualità tecniche e organizzazione tattica. In Champions giocano gli assi e per questo motivo Ronaldo ha tirato fuori le sue migliori prestazioni con la Juve senza riuscire a trascinarla in finale, ma gli spazi si allargano, c’è minore organizzazione tattica, si aprono le praterie verso la porta. L’ideale per il gioco della Lazio, letale in campo aperto e nell’attacco alla profondità ispirato da Immobile e Correa. A Bruges forse sarà un altro tipo di partita, i belgi sanno sporcare la manovra e rendere complicato il palleggio, ma la vocazione europea del 3-5-2 di Inzaghi rappresenta una garanzia, un po’ come è successo all’Atalanta di Gasperini. Nel campionato italiano tutti si difendono meglio e si possono trovare a volte difficoltà inattese. Il plus, ovviamente, lo hanno assicurato la prestazione super di Leiva e la diversità di Luis Alberto e Milinkovic, superiori di una spanna ai centrocampisti del Borussia Dortmund. Se girano quei tre, la Lazio diventa irresistibile. Lo sapevamo già e la notte dell’Olimpico ci ha restituito l’immagine più bella della squadra biancoceleste, sparita dopo il lockdown. Era solo in pausa, non ai titoli di coda.

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