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Tare: “Addio alla Lazio? Non c’è rabbia, era un mio desiderio”

L'ex calciatore e dirigente biancoceleste ripercorre il suo addio e parla di Lotito, Sarri, Inzaghi e Immobile: tutti i dettagli

Igli Tare ha raccontato l'addio alla Lazio, dove ha vissuto per anni prima da calciatore e poi da dirigente, in una lunga intervista rilasciata a Radio Tv Serie A con Rds. Tanti gli argomenti trattati, dalla sua carriera da giocatore ai motivi dell'addio, fino a parlare di LotitoSarriInzaghiImmobile.

Tare sull'addio: "Lazio, non c'è rabbia"

"Cerco di riempire le giornate conoscendo meglio altri campionati - le prime parole di Tare -, vivendo da vicino luoghi, stadi e club per scoprire le loro mentalità . Non c'è rabbia per l'addio alla Lazio, era un mio desiderio. La Lazio rimarrà qualcosa di speciale che porterò sempre dentro di me, è stata l'esperienza più bella della mia vita. Con il passare degli anni ho capito che il mio ciclo era arrivato alla fine, era arrivato il momento giusto per andare via. Il rispetto nei confronti di società e tifosi era talmente grande che ho voluto lasciare al top: è stata una scelta dolorosa, ma ora mi sento ricaricato. Sarò sempre tifoso della Lazio. L'Italia per me è una seconda patria, sarò sempre grato a questo paese di cui sono anche cittadino, con fierezza".

Tare, la carriera da calciatore e il rapporto con Mazzone

Tare racconta anche la sua carriera da giocatore in Italia: "La settimana prima del mio arrivo in Italia guardavo con mia moglie il derby di Milano. Avevo 27 anni, il mio sogno era quello di giocare in Italia ma avevo paura fosse già troppo tardi. Una settimana dopo, ero in campo a giocare Brescia-Milan, marcato da Maldini e Costacurta". Poi su mister Carlo Mazzone: "L'ho conosciuto in una stanza d'albergo, mi ha detto: 'mi sa che tu giochi a basket, non a calcio'. Gli ho risposto di essere un calciatore e lui scherzò dicendo: 'annamo bene'. Esordisco in un Brescia-Milan, ero molto emozionato: entro gli ultimi 20 minuti, alla prima giocata provo a stoppare la palla di petto ma sbaglio. Guardo verso la panchina e vedo Mazzone girato verso la tribuna, che urla: 'ao, ma ndo cavolo l'abbiamo trovato questo'. Sono due i momenti più iconici che ricordo di Carlo: il primo è sicuramente la sua corsa sotto la curva nel famoso 3-3 in rimonta contro l'Atalanta. Il secondo aneddoto è legato a quello che era un suo rituale: ogni domenica mattina, prima delle partite, insultava la prima persona che incrociava nei corridoi, era una sua scaramanzia, un suo portafortuna. Simone Del Nero era uno dei più sfortunati. Era l'essenza vera del calcio. Il mio rapporto con lui è stato amore-odio: è l'allenatore a cui sarò sempre più grato".

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