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Lazio, due Lotito in uno

ANSA

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La partita col Frosinone aveva importanza quasi esclusivamente per il Frosinone che insegue la salvezza. Per la Lazio, che fino a maggio vivrà di tre sfide, il derby e le due semifinali di coppa Italia, più eventualmente la finale, il risultato dello Stirpe non avrebbe - e in effetti non ha - spostato di un solo centimetro il giudizio sulla stagione: domani la squadra passa peraltro a Igor Tudor per cambiare pelle non solo tatticamente. Da tempo Lotito cercava un allenatore «bastone e carota», un muscolare, con il croato potrà finalmente soddisfare questa sua singolare esigenza. 

A proposito di bastone, sono – come altri – rimasto colpito dalla sequenza di battute del Senatore che ha fatto seguito alle dimissioni di Sarri il quale, per dirla alla Mau, s’era letteralmente rotto i coglioni. Prima ha raccontato al Tg1 la sua verità, ovvero che l’allenatore «è stato tradito, c’è qualcosa di strisciante all’interno del gruppo». Quando ha appreso dell’aggressione fisica e verbale a Ciro e Jessica Immobile davanti al figlio di 4 anni, ci ha poi ricordato di vivere «sotto scorta da venti anni» aggiungendo che «ho ricevuto cinquecentomila chiamate di minacce a me e alla mia famiglia eppure non faccio tutto questo clamore. E non faccio comunicati». Nella stessa serata la società di Lotito ha espresso ufficialmente - e opportunamente - la propria solidarietà al centravanti, figura importante e rispettabilissima nella storia ultracentenaria della Lazio.  

Nell’esporsi pubblicamente Lotito - a cui va la nostra vicinanza per le minacce che lo investono sistematicamente - ha trascurato alcune cose, una è particolarmente grave: da leader di una fazione è diventato figura istituzionale, un uomo dello Stato. Di uno Stato che, suggerendo una rapida ma torturata presa di coscienza, invita continuamente cittadine e cittadini a denunciare gli episodi di violenza, sia essa fisica che verbale; di uno Stato che per proteggerci condanna l’omertà, la paura, la sufficienza.  
L’unico modo in cui Lotito può provare a difendersi e a difendere dalle molestie sociali è proprio con la denuncia, il coraggio, l’indicazione dei responsabili nella sua duplice veste, privata e pubblica oggi incontrovertibile. Spero non gli dispiaccia l’accostamento a Giano, divinità romanissima (dunque laziale).  
Immobile, turbatissimo, ha fatto bene a raccontare quello che era successo a lui e alla sua famiglia: se avesse taciuto non avrebbe aiutato il nostro calcio a fare un passo avanti nella direzione della civiltà.  
C’è qualcosa che non funziona in questa società - disse il saggio - quando è diventato più grave denunciare il problema che il problema stesso. 

PS. Se dopo appena otto mesi la prima e la seconda del campionato precedente si ritrovano a 31 e 32 punti dal vertice non può essere soltanto colpa dell’allenatore, dei giocatori, degli arbitri, degli striscianti, della stampa, delle radio, di Gravina...

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