Quota settanta, è questo il traguardo. Nessuno nella Lazio brucia il tempo a preparare tabelle, perché fare pronostici è come scrivere sulla sabbia, ma i ragionamenti nati intorno alla Champions rafforzano il senso di responsabilità di una squadra in costante evoluzione. Aveva cominciato il campionato con il rischio di vivere un anno sperimentale e adesso è quarta. La Lazio propone un calcio libero e originale, dove la ricerca del divertimento supera la logica di un calcolo e la percezione di un pericolo. Sbaglia, si scotta, ma non cambia. Riparte dai suoi concetti. “Abbiamo un dna preciso, è la nostra bella croce”, ha detto Baroni nei giorni scorsi. Così la Lazio si è guadagnata un ruolo definito: è entrata nel salotto che conta, ha cancellato un’estate di rinunce e trasformazioni radicali. Ha piegato la diffidenza, ha vinto dieci partite in trasferta (sette in serie A e tre in Europa League), ha trovato una dimensione.
La sfida con il Monza andava affrontata con maturità. Senza distrazioni. È emerso l’atteggiamento giusto. La crescita di Isaksen, le discese di Tavares, l’ordine di Rovella. L’energia di Guendouzi, la perla di destro di Castellanos e i suoi due assist per Marusic e Pedro, eterno e monumentale, entrato al posto di Dia e autore di una doppietta. Il 5-1 sotto la traversa di Dele-Bashiru ha completato la festa. Juve sorpassata. Dieci punti nelle cinque gare del girone di ritorno. Tredici gol garantiti dalle sostituzioni di Baroni e l’appuntamento di sabato con il Napoli. In campionato la vittoria all’Olimpico mancava dal 24 novembre. Questa Lazio può faticare a leggere certe situazioni sotto il profilo tattico e dell’approccio, come è avvenuto nel derby e contro la Fiorentina, ma non è mai stata presuntuosa. La Champions è un’idea suggestiva, un obiettivo che sembrava fuori dalla mappa, in rapporto alle potenzialità. Non è un’ossessione, ma una magnifica e inaspettata opportunità considerando i problemi accusati finora dalla Juve e dal Milan. Rimane una corsa a ostacoli, però. Napoli e Inter viaggiano a un’altra latitudine. L’Atalanta è terza a +5. E il resto della compagnia ha investito sul mercato somme maggiori rispetto alla Lazio anche a gennaio. Kolo Muani si è presentato con cinque gol in tre partite e sta nascondendo i difetti del 4-2-3-1 di Motta. Sergio Conceiçao ha ricevuto in regalo Gimenez, João Felix e Walker. La Fiorentina ha aggiunto Fagioli, Zaniolo e Folorunsho, oltre a Pablo Marí e al giovane talento Ndour.
Alla Lazio servono venticinque punti in quattordici giornate per raggiungere quota settanta. Nella passata stagione, la Juve di Allegri era arrivata terza con settantuno. Il primo passaggio, comunque, è stato compiuto: acquisire una mentalità e proteggerla dopo qualche caduta. Una squadra che è riuscita sempre a conservare un’identità. Baroni ha saputo aiutare la Lazio a rivalutarsi. Equilibrio, sostanza, dialogo. Un’attenzione alle regole e alla sacralità del gruppo: si può commettere un errore nello sviluppo di uno schema, ma i comportamenti non si devono sbagliare. Se qualcuno non lo comprende, esce dal cerchio. Questa squadra piace e coinvolge, esprime la fedeltà della sua gente. La Lazio è uno dei quattro club italiani ancora in lizza su tre fronti: come l’Inter, la Juve e il Milan. Ma con un fatturato differente. Sogna la Champions, il 25 febbraio affronterà Inzaghi nei quarti di Coppa Italia e ha festeggiato gli ottavi di Europa League vincendo il maxi-girone. “Non vorrei che questo percorso venisse considerato una cosa normale”, ha sottolineato spesso Baroni. Un messaggio per chi dimentica la forza economica della concorrenza e le differenze a livello di organico.