M attina di primavera, fiori sul terrazzo, sole che bacia la città. Alberto Sordi innaffia le piante e il canto degli uccellacci e degli uccellini è rotto dai clacson e dalle voci: «Lazio, Lazio, Lazio». Sordi si affaccia e vede le macchine dei tifosi rivali in marcia verso il derby. Cori, striscioni e bandiere. Con tutta la scorrettezza dialettica del tempo che fu - sceneggiatura di Maccari, Sonego e Scola, per dire - li accarezza a modo suo: «Anvedi ’sti sfollati! A profughi! A zozzi laziali! Ma ’ndo annate?». Il film si intitola Il marito, l’anno è il 1957 e a girarlo, in coabitazione con un collega, è un regista, lazialissimo, di nome Nanni Loy. «Io e papà allo stadio andavamo spesso, anche nell’anno dello scudetto, il ’74». La voce di Tommaso, uno dei quattro figli, trascina i ricordi a riva. C’è il Nanni Loy «che amava giocare d’azzardo», quello «che a volte sembrava serio e attraversato dalle ombre, ma che non rinunciava mai all’ironia o all’autoironia», il padre «che pensava ossessivamente al suo lavoro senza che questo, a distanza di anni, mi abbia mai suggerito neanche la minima forma di rancore».
Per sanare la ferita e legare la grande passione di Nanni Loy per la Lazio a quella per l’arte, nasce, nei distinti Sud Est - un settore dello stadio pieno di bambini e di famiglie, rivitalizzato negli ultimi anni dall’associazione Lazio e Libertà - il Lazio Club Nanni Loy. A due passi dalla curva intitolata a Tommaso Maestrelli, al quale anche e non solo per fisiognomica, Loy somigliava, per iniziativa di un gruppo di lavoratori e tecnici del cinema, ci sarà il profilo di Nanni perché dicono alcuni dei fondatori (Claudio Noce, Saverio di Biagio, Francesco Cordio, Toni D’Angelo): «Loy rappresentava perfettamente l’anima del tifoso laziale: passionale, autentico, ironico». Il ponte «per ricordare la sua figura e trasmettere il suo entusiasmo alle nuove generazioni che vanno allo stadio», organizzare eventi, proiezioni e incontri tematici su Loy, sarà attraversato, non solo metaforicamente, da un celebre tifoso avversario a ogni appuntamento con il campo. Il primo, volto prediletto di Mazzacurati e Soldini, sarà Giuseppe Battiston. Incidentalmente sostenitore dell’Udinese e più stabilmente insediato nell’area di rigore dove l’unico gol è il terzo tempo e il pallone non è altro che lo strumento per parlarsi al di là delle reciproche appartenenze: «Sapere che qualcuno in questi tempi si sia preso la briga di ricordare Nanni Loy è quasi eversivo» dice. Battiston sarà della partita. Nanni non ne mancava neanche una: «Tifava per la Lazio, senza alcun dubbio» ribadisce Tommaso Loy che aggiunge «però simpatizzava anche il sud e per le squadre meridionali con una spiccata preferenza per Cagliari e Napoli». Le altre due città d’adozione. La prima, quella natale, a due passi dall’abitazione di Amedeo Nazzari, di cui gli erano rimasti addosso i ricordi del liceo frequentato con Luigi Pintor, l’odore della sabbia del Poetto nelle assolate mattine d’inverno e un certo puntiglio caratteriale: il produttore Minervini, per l’ostinazione, lo aveva soprannominato “Nuraghe”, e la seconda, per essere stata l’avamposto di tante avventure da set a partire da Le quattro giornate di Napoli. Un film pieno di trovate, di sentimento, di verità e inattesi tocchi d’umorismo. Da una casa chiusa, a conflitto finito, spunta un tricolore e una voce grida: «‘A guerra l’hanno vinta pure ‘e zoccole». Non ci fu vittoria e non fu il mestiere più antico del mondo a spedirlo a Los Angeles con il sogno di conquistare la statuetta dell’Academy per la migliore sceneggiatura, ma a casa di Christian De Sica, una certa aria di bordello si respirò. Alla serata trasmessa in tv e condotta da Lello Bersani, Christian con suo padre Vittorio e Roberto Rossellini, assistette. E del copione di quella notte del ’64 aveva un ricordo nitido: «Parevano entrambi felici della possibile vittoria di un italiano. Ma quando Bersani disse: «Purtroppo il nostro Loy non si aggiudica il premio», papà e Rossellini si alzarono in piedi a esultare e a fare il gesto dell’ombrello e le pernacchie come due bambini». Le magliette, anche quando ci si cambiava nello stesso spogliatoio, erano diverse. Ma era un’epoca in cui la suscettibilità era vista con sospetto, parlare chiaro era una forma di rispetto e prendersi in giro rappresentava un atto d’amore. Anna Magnani, che amava Loy senza condizioni, lo provocava: «Brutto stronzo, quand’è che ti decidi a fare un film bello ma tutto per me?». Poi si cenava insieme e ci si stringeva per evitare le onde. Alessandro Haber, che di Loy era quasi un fratello, sostiene che gli amici scomparsi siano «come isole che l’alta marea ha coperto». Un club della Lazio dedicato a Nanni Loy serve anche a questo. A riportare un’Atlantide alla luce, a ricordare come sottolinea Umberto Carteni: «che la cultura non è solo di chi ha studiato, ma di chi sa raccontare perché a restare sono le storie delle persone al di là della loro posizione nel mondo».
Quella di Nanni Loy, un intellettuale mite che pure avrebbe ucciso per non averne l’etichetta, uno che era cresciuto tra gli agi dei primi, non dimenticava mai gli ultimi e prima di dire azione domandava a tutti i componenti della troupe se erano persuasi dall’inquadratura, coincideva con quella dell’allenatore mancato. Sapeva giocare di squadra e sapeva che senza pensare da squadra non è possibile raggiungere nessun risultato. La sua squadra era la Lazio. Senza compromessi e senza prezzo. Con qualche sofferenza e molta libertà. Salutò il mondo a Fregene, a casa di un altro amico che aveva fatto la storia, Gillo Pontecorvo, in un’estate triste, al tramonto di agosto, trent’anni fa. Dalle onde nere del Tirreno, quando il sole calava, Flaiano, Loy e Fellini si trasferivano spesso in uno specchio di mare più limitato, la casa di Federico e Giulietta Masina, in Via Volosca. Al pranzo domenicale, una volta su due, Nanni non c’era. Lo trovavi 35 chilometri più a est. In mezzo alle bandiere, a vedere un re dalla testa bionda, nell’anno del divorzio. Certi matrimoni non hanno bisogno dei notai e resistono comunque. Dall’alto, le partite, si vedono benissimo.