Nella sfida dentro o fuori con la Juve c’è un dato che fa pendere la bilancia dalla parte bianconera, ma che rafforza le speranze di quella fetta laziale che crede nella forza della statistica, come alla roulette: non può uscire il nero in eterno. L’Olimpico avaro non conosce una vittoria della Lazio da tre mesi, 9 febbraio, 5-1 al Monza (punching ball del campionato, non me ne voglia Nesta), prima ancora dobbiamo risalire al 24 novembre, Lazio-Bologna 3-0. Due vittorie in sei mesi. E in dieci partite, contro avversari che, tranne Inter e Napoli, non figurano adesso davanti a Baroni. E che non hanno impedito alla squadra romana di sgomitare lassù per un posto in Champions, arrivando allo spareggio con la Juventus. Vi sembra poco?
Sfido chiunque a dimostrare di avere previsto ad agosto scorso una Lazio in questa posizione a tre giornate dalla fine. Sfido chiunque a dimostrare che fra le squadre in gara per il quarto posto ce ne sia una con la rosa più povera rispetto a quella della Lazio. Sfido chiunque ad affermare che all’arrivo del nuovo allenatore abbia messo le bandiere alla finestra.
Delle cinque che aspirano alla quarta piazza, la sola imprevista è la Lazio. È difficile quindi negare che Marco Baroni sia l’allenatore rivelazione della serie A. A 62 anni e 25 di pratica, quasi tutti trascorsi nelle categorie inferiori, può capitare. Nella professione di allenatore, come in quella di calciatore oltre al talento incidono il caso, la fortuna, pantouflage o sliding doors o porte girevoli che dir si voglia. Devi cadere nell’ambiente giusto, devi incontrare il presidente giusto, i giocatori giusti per il calcio che hai in mente.
Comunque vada, Baroni ha superato la prova di maturità, guidando la squadra ad un girone di andata fantastico, collezionando fuori casa più vittorie di Napoli e Inter, conquistando il primato sulle 36 squadre dell’Europa League, rigenerando giocatori che Tudor aveva accantonato, valorizzando una rosa che ha raddoppiato il proprio valore, tenendo accesi l’interesse e i desideri sino a maggio.
Eppure tutto questo non basta. Quanto meno non basta a Lotito. Il rinnovo? Se ne parla fine campionato. Tradotto: vediamo quale sarà il piazzamento finale. Le prime 50 partite le scartiamo, il giudizio dipende dalle ultime tre (o dai rigori sbagliati con il Bodø? Sarebbe ancora più grottesco).
Ufficializzare la conferma dell’allenatore sarebbe oltretutto servito a stemperare il clima non proprio pastorale nel quale allenatore e giocatori hanno dovuto lavorare negli ultimi giorni, tra esternazioni a ruota libera, denunce, rivelazioni scottanti e voci di un nuovo smantellamento della squadra.
Baroni va dritto per la propria strada, abituato com’è a camminare sui carboni accesi. Oggi sosterrà un nuovo esame, probabilmente quello decisivo. Di fronte a Tudor che i capisaldi di questa squadra aveva ritenuto inadatti. Contando sui suoi giocatori, stanchi ma grintosi, però anche sul calcolo delle probabilità: possibile che esca ancora il nero?