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Milan, il cemento di Allegri

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Lo hanno visto arrivare a Milanello ma non si sono accorti che nel bagagliaio della sua auto c’era un sacchetto di cemento. È quello di cui ha bisogno il suo Milan per uscire da una lunga e litigiosa stagione di invidiuzze, divisioni personali e professionali condita da risultati deludenti per imboccare la strada del “blocco unico”. È il cavallo di battaglia, cavalcato da Max Allegri al primo incontro pubblico con media e mondo Milan, per dare conto dell’obiettivo principale da centrare in questa nuova avventura rossonera, più importante persino del centravanti da arruolare e dei ruoli (in difesa) da completare. Perché il tecnico livornese, grazie all’esperienza maturata in 12 anni tra Milan e Juve, due antiche potenze del calcio italiano ed europeo finite in un cono d’ombra con il passaggio di proprietà o il cambio della catena di comando, ha capito perfettamente che solo la sintonia totale tra le diverse anime del club può favorire un risultato positivo mettendo alle spalle il fallimento dell’ottavo posto.

È il discorso che Allegri ha ripetuto a Gerry Cardinale nell’incontro a colazione, che ha spiegato bene a Tare e a Furlani nell’ora trascorsa insieme a Lugano quando i due inviati milanisti lo raggiunsero per strappargli la firma sul contratto. Non c’è stato bisogno di molto tempo per convincerlo: lui aveva da tempo il fuoco dentro per il Milan, per quel Milan che osservava in tv e lo vedeva un giorno martello e il resto degli altri giorni incudine, ricevere martellate sulla difesa esposta ai quattro venti degli attacchi rivali. L’esempio citato (“una sola volta negli ultimi 15-16 anni ha vinto lo scudetto la squadra senza la miglior difesa, la Juve di Sarri”, nell’era covid). Max è stato sé stesso fin dal primo minuto, armato di un sorriso contagioso e le battute toscane che gli sono servite spesso per “smontare” il mondo delle favole raccontate intorno al calcio italiano e non solo. Ha avuto il merito di ricordare la propria militanza juventina perché chi è disposto a rinnegare il proprio passato di solito non è molto affidabile per il presente e per il futuro. L’ha fatto anche col Milan da lui conosciuto 15 anni prima, quando s’innamorò dei colori e dei campioni che gli cucirono poi sul petto il primo dei 6 scudetti conquistati in carriera. Non ha incantato la platea parlando di schemi e nemmeno di traguardi storici da tagliare.

Ha detto con estrema franchezza: “Dobbiamo partire forte e a marzo capiremo se potremo puntare al successo”. Per lui il calcio non è scienza ma “arte” e per questo non si attribuisce grandi meriti se non quelli, ordinari dal suo punto di vista, di riuscire a cogliere al volo le caratteristiche dei suoi per incastrarli in un mosaico trasformandoli in una squadra, con una sola identità, un solo obiettivo dichiarato, una sola ossessione non dichiarata, la caccia alla seconda stella. Servirà il cemento dei risultati e dei comportamenti virtuosi per rimettere insieme i due pezzi fondamentali del Milan spaccato in modo traumatico negli ultimi mesi, da una parte la squadra che rotolava all’ottavo posto e dall’altra la curva che contestava e abbandonava lo stadio e il resto del pubblico che fischiava. Ieri a Milanello, alla prima uscita pubblica del gruppo, gli arrivi di Scaroni presidente e Furlani ad sono stati scanditi da fischi. Non sarà impresa ordinaria rovesciare quel clima limaccioso.

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