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BRIVIDO KALIDOU

LaPresse

La partita l’ha vinta Sarri, l’ha persa Allegri, l’ha segnata Koulibaly, questo concentrato di orgoglio battagliero e strapotere fisico che fino a due anni fa “aveva la cazzata incorporata” (cit. Sarri). La sua prova è stata perfetta, parte principale dell’impresa - KK l’ha chiusa con un balzo alla Sergio Ramos che ha fatto impazzire un mondo e un modo di vivere il calcio.

Quando non cade in distrazione, quando chiude ogni spazio e strappa palloni sfruttando anche i tanti chili e centimetri, il ventisettenne scovato da Bigon a Genk è da considerare tra i primi tre difensori centrali del mondo.

Koulibaly rappresenta l’essenza del calcio di Sarri: è il difensore che respira la linea a quattro e scappa seguendo i tempi dettati dal pallone; è l’inizio della manovra d’attacco e talvolta anche la sua conclusione; è tutte le risposte di cui ha bisogno l’allenatore; allenatore che l’ha aiutato a essere quello che è oggi.

A Torino non ha vinto il Napoli di superficie, quello di Callejòn, Mertens e Insigne, ma il Napoli di sostanza, quello più lavorato, addestrato, meno talentuoso: il Napoli di Koulibaly e Albiol, Hysaj e Mario Rui e Jorginho che ha saputo trarre vantaggio dalla condotta di gara imbarazzante dell’avversario: ha insomma accentuato l’isolamento di Higuaìn.

Il Napoli è ancora sotto in classifica eppure vede il cielo dall'alto.

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