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Insigne è stato il Napoli: idolo a metà, esaltato e capro espiatorio

Per l'attaccante partenopeo è il giorno della frontiera tra la vita nella sua città e quella nuova in Canada: si lascia alle spalle i dieci anni più belli, pur avendo vinto poco

NAPOLI - Una giornata apparentemente normale diventa in realtà assai particolare: Lorenzo Insigne questo 24 giugno se lo ricorderà, rappresenta per lui la frontiera tra una vita, quella napoletana, e l’altra, quella canadese. Si lascia alle spalle i dieci anni più belli della sua vita, con dentro le gioie e anche i dolori, e viaggia, da questo 24 giugno, dentro un mondo nuovo, per lui completamente sconosciuto. E’ un calcio diverso, tranquillizzante, senza ansia e né tensioni: è un universo fosforescente, assai ricco - ovviamente - però anche «povero» dal punto di vista emozionale. Insigne adagia sull’uscio di casa tutti i suoi numeri - in gol, gli assist - ed un  ruolo divisivo: amato, ma non sempre e non da tutti, se l’è dovuto cavare spesso da solo, perché nella tormenta non c’è verso di ritrovare spalle, bisogna arrangiarsi con il proprio tiro a giro, e sistemarsi al di là del brusio. Insigne è stato il Napoli, piaccia o no, lo ha riempito di sé, ha vinto poco, due Coppe Italia e una Supercoppa, ha rimpianto quello scudetto del 2018, è stato un idolo a metà, ora esaltato e poi trasformato in una specie di capro espiatorio, nelle giornate infelici che sono capitate. Lascia un’eredità e però anche un vuoto. Pure per Napoli è una giornata diversa, dolente.

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