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Koulibaly e Raspadori, il gigante e il bambino: come cambia la storia

Leggi il commento alla vittoria conquistata sul campo della Juve da un Napoli sempre più vicino allo scudetto

L'illusione di Koulibaly, il gigante. Il paradiso di Raspadori, il bambino. In mezzo, cinque anni da Sarri a Spalletti, tra rimpianti e nuovi sogni. Missione impossibile con Ancelotti e Gattuso. Sempre in scia, mai in testa. E d’un tratto Re Aurelio, con la perizia di Giuntoli, smonta il giocattolo, lo svecchia, ne riduce il costo, fa sanguinare qualche cuore romantico, ingaggia coreani e georgiani e, fra lo scetticismo di molti e gli improperi di moltissimi, azzarda: giocheremo per lo scudetto. Sibillo cumano a Dimaro, azzecca il vaticinio e affida a Spalletti, che ha fallito il traguardo l’anno prima, di realizzare il pronostico sfacciato. Si sa: uomini forti, destini forti.

Lo scudetto "perso in albergo"

La sera del 22 aprile 2018 il Napoli di Sarri giocò a Torino braccando la Juventus capolista. Sarri contro Allegri. Una polemica da rotocalco. L’Orso e l’Acciuga. Il giochista e il risultatista. La grande bellezza e il corto muso. L’uomo degli infiniti scudetti bianconeri e l’impiegato di banca pazzo di pallone. Koulibaly usò la testa come fionda e al 90’ abbattè Buffon e la Juventus. Era il Napoli di Reina, Albiol, Jorginho, Hamsik, Callejon, Mertens e Insigne al capolinea di tre anni di rincorsa. Poteva superare la Juve, un solo punto avanti, al turno successivo. Ma la Juve, nell’anticipo di sabato a Milano, batte l’Inter, e l’arbitro Orsato è ancora nei malevoli pensieri dei napoletani. Il giorno dopo, il Napoli disgustato dalla vittoria bianconera si sgonfia a Firenze e stramazza sotto tre gol del Cholito Simeone, oggi uno dei nuovi angeli azzurri. Il famoso scudetto “perso in albergo”.

La storia è cambiata

Che cosa è cambiato cinque anni dopo per non fallire ancora? È cambiato che il Napoli con meno assi celebri, meno stelle trentenni, meno spogliatoio di esauriti e delusi, meno gioco di uncinetti e merletti, alla fine del ciclo aperto da Benitez è diventato una squadra nuova di personalità e carattere, di palleggio verticale, di un centravanti vero e non più finto, di irriducibili risorse dal campo alla panchina, di giovanotti con fame di gloria, di una unione di intenti e di persone che ne hanno fatto la forza. Stavolta, a Torino, Raspadori non ha colpito per un sogno. Ha trafitto Szczesny per lo scudetto. Dal gigante senegalese al bimbo emiliano di Bentivoglio, la storia è cambiata così. Con grazia, con sacrificio, con passione, senza musi lunghi e lese maestà, con la semplicità forte di un calcio quando non è filosofia, droni, schemi, ossessione, triccheballacche e putipù. E Orsato non è più un pensiero triste che si balla. È il Napoli di un calcio senza ombre, vittimismo e patimenti vari. È l’azienda sana e vincente in una compagnia di indebitati, apprendisti stregoni, finti nababbi, trucchi e bugie. A Napoli, chi l’avrebbe mai detto?

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