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Napoli, se il Progetto diventa Fallimento

Getty Images

Leggi il commento sul momento del Napoli di Calzona

Se Aurelio De Laurentiis sapesse parlare al presidente del Napoli potrebbe dirgli tutto ciò che la corte dei miracoli di cui si circonda e dalla quale viene assecondato gli ha nascosto da almeno dodici mesi.  

Un anno potrebbe non essere passato inutilmente, se dinnanzi a un’onesta autocritica si rimettessero a posto i cocci di questo Fallimento e si provasse a scorgerne le cause, mica solo gli effetti danarosi. Perché a marzo del 2023, quando quella meravigliosa creatura di Luciano Spalletti aveva già seriamente conquistato lo scudetto, Adl sapeva più o meno ciò di cui è consapevole adesso: avrebbe dovuto trovare un allenatore da non infastidire con richieste su moduli e formazioni; avrebbe dovuto ingaggiare un manager coraggioso e rivoluzionario come Cristiano Giuntoli e non sospettare con leggerezza che il capo degli osservatori, Micheli, potesse orientare le strategie, né consegnare a Meluso, incaricato del ruolo, alcun potere esecutivo; avrebbe dovuto investire su un difensore centrale, non avendo più Kim, la fonte dei più irritanti rimpianti; avrebbe dovuto affrontare l’eredità di Zielinski e forse già allora pure quella di Osimhen, legati con lo scotch a contratti ormai fragili; avrebbe dovuto dare un senso compiuto e granitico al proprio club, che invece ha cominciato a sgretolarsi ed ha finito per smontare l’area scouting con il trasferimento di Mantovani al settore giovanile.  

A giugno scorso, il presidente del Napoli ha ascoltato esclusivamente Aurelio De Laurentiis, che all’epoca non era ancora gonfio di quell’ira sgradevole e inaccettabile che un giorno sì e l’altro pure lo porta ad insultare un nemico da individuare, fosse un allenatore del passato o un giornalista o un cameraman; e forse, in quel tempo, il Sistema - cioè la Lega, i suoi colleghi, i cosiddetti compagni di banco, e ora anche l’Uefa che ha aperto un procedimento disciplinare dopo il Politanogate di Barcellona con la troupe e il giornalista di Sky - non gli si era neppure rivoltato (giustamente) contro, perché c’è poi un giorno in cui è doveroso e dignitoso dover dire basta a chi ritiene di essere il padrone di regole da sfruttare a modo suo. Quasi senza accorgersene, Adl ha avviato un processo di autodistruzione al quale deve porre rimedio con lo stesso istinto - si direbbe il talento - che per diciannove stagioni l’ha guidato, nonostante un’esuberanza di fondo che gli è sempre appartenuta e l’ha trascinato fuori dalla righe, mai fuori controllo come stavolta.  

Ma adesso Adl sa che sta seriamente cominciando l’anno zero, ha costruito e poi dissolto in un nanosecondo un’Idea che non esiste più, è finita sotto le macerie di questa gestione schizofrenica, che però può diventare il modello di riferimento da non seguire, una lezione che aiuti a programmare e che suggerisca di evitare le linee guida di questa tormentata esperienza. Altrimenti, come avrebbe detto Gassman, Adl e con lui il Napoli avrebbero semplicemente un grande avvenire dietro le spalle. 

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