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Tutti ai piedi di Conte: Napoli "minacciato" da Milan e Juve

A fine campionato previsto l'incontro con De Laurentiis: la priorità del tecnico è restare ma con una squadra da Champions

La metafora più abusata è mister Wolf il personaggio tarantiniano che risolve problemi. Ma a noi Antonio Conte ricorda più Doctor House. Scontroso, urticante, ai limiti e anche l’oltre l’insopportabile, eppure bravissimo, scrupoloso, preparato e soprattutto dannatamente efficace. In due parole: il migliore. La diagnosi la trova sempre e il paziente si salva. Una delle sue massime è: meglio un dottore che ti salva la vita rispetto a uno che ti tiene la mano mentre stai morendo. Ecco, Antonio Conte è il più grande chirurgo d’urgenza della storia del calcio. Nessuno come lui è in grado di prendere in cura una squadra finita in sala rianimazione e portarla – quasi sempre al primo anno – non solo fuori dall’ospedale ma alla vittoria. Alla gloria. Lo ha fatto alla Juventus dopo le macerie di Delneri. Lo ha fatto all’Inter reduce da un decennio di sconfitte. Lo ha fatto al Napoli che lo scorso anno era finito in terapia intensiva: poi che vinca o meno lo scudetto, si vedrà. In parte lo ha fatto anche al Tottenham dove ha riportato la squadra in Champions e ha tenuto una conferenza stampa che i giornali inglesi di tanto in tanto citano come se fossero le sacre scritture: scattò una fotografia tanto perfetta quanto impietosa del perché il Tottenham non avrebbe mai vinto niente. E, almeno in Italia, dopo addii burrascosi ha sempre lasciato ai colleghi squadre che dopo di lui hanno continuato a vincere.  

Napoli, Conte accostato a Milan e Juve 

È il motivo per cui, proprio come Doctor House, quando il paziente non ha più speranza, si rivolge a lui. L’ultima spiaggia. Il male necessario. Ogniqualvolta un club si trova in una crisi che sembra senza via d’uscita, c’è un solo nome che viene accostato. Il suo. Perché solo Antonio Conte potrebbe, ad esempio, rimettere in riga un club come il Milan dove il braccio destro non ha idea di cosa stia facendo il sinistro. Dove regna la confusione molto poco creativa, con troppi galli a cantare e nessuno a obbedire. O, ovviamente, alla Juventus la casa madre: lì non sanno da dove cominciare per provare a sistemare il disastro combinato in pochi mesi dalla coppia Giuntoli-Thiago Motta che avrebbe dovuto portare il calcio dell’avvenire e poi sappiamo com’è finita. Antonio Conte è uno dei rarissimi casi in cui la notizia di mercato si forma da sé, prende vita da sola. Più il paziente è grave, più c’è un solo nome in grado di salvarlo.  

Il metodo Antonio Conte 

È un uragano di energia. Arriva col suo metodo. Alza l’asticella. Stravolge regole e abitudini. Fa uscire dalla stanza chiunque non appartenga al suo staff. Cambia modo di allenare. Di mangiare. Di pensare e vivere il lavoro. Entra nella testa dei calciatori. Stravolge la loro visione. Ma, attenzione, modifica anche il modo di gestire l’azienda. È un passaggio fondamentale: è quasi come se il club diventasse suo. Lui decide. Lui comanda. Perché lui sa come si fa. Fino all’inevitabile scontro, ovviamente. Non è un caso se uno come Buffon (non proprio l’ultimo arrivato) ne ha una visione fideistica. «Conte a Napoli arriva primo o secondo» disse l’estate scorsa, a campagna acquisti ferma.  Il paradosso è che Antonio Conte lo vuoi anche se sai come andrà a finire. Uno così in casa più di tanto non puoi tenerlo. Ma lo prendi lo stesso. Perché quando sei in fin di vita, accetteresti di tutto pur di salvarti. Poi, però, quando esci dalla rianimazione, dimentichi. E ti rendi conto che i sacrifici da sopportare sono troppi. È la natura umana. Lui, magari, la definirebbe irriconoscenza. Ma Antonio, diciamolo, ha una visione molto particolare di tutto ciò che lo riguarda. Definiamola contecentrica. Come quando dichiara che è venuto a Napoli per fare un favore personale a De Laurentiis e alla sua famiglia. Come se lavorasse gratis. Ovunque vada, tende ad alimentare la retorica dell’impresa straordinaria. Si infuria quando gli danno del lamentoso o, peggio, del piagnone. Ma è dura trovarne uno che non lo dica. Qualcosa significherà. 

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