Aurelio De Laurentiis. Il Braccio di Ferro del calcio italiano. Q uel rissoso, irascibile, visionario, vincente Aurelio De Laurentiis. Alzi la mano chi, vent’anni fa, quando entrò nel mondo del calcio, avrebbe immaginato la vittoria di due scudetti a Napoli. Nel giro di tre anni (e siamo ancora all’inizio, dice lui). È riduttivo affermare che è entrato nella storia del calcio italiano. La frase più realistica è: ha fatto irruzione e si è messo al centro della scena. E da lì osserva tutti con quello sguardo che parla, che trasuda la frase cult del Marchese del Grillo (“io so io e voi nun siete un…”). Ma, come si dice in questi casi, se lo può permettere.
La lungimiranza di De Laurentiis e la legge del bilancio
Aurelio il cinematografaro ha strambato sin dall’esordio, nel 2004, mentre in tanti lo deridevano. Accade quasi sempre a chi ha lo sguardo più lungo. A chi ha la capacità di capire con anni di anticipo quale direzione prenderà il futuro. Non si è mai rassegnato alle consuetudini da prima repubblica del nostro football. Ha squarciato veli ultradecennali e ragnatele ammuffite. Ha rotto da subito col potere ultras che non a caso gli ha dichiarato una guerra infinita. Gli hanno lanciato bombe carta nello stadio, lo hanno costretto alla scorta, lo hanno insultato in ogni modo. E alla fine si sono rassegnati. Nessun privilegio. Stesso comportamento con i calciatori: non ha mai accettato i loro capricci. Ha sempre rifiutato la logica del premio partita, del premio scudetto. «Io ti pago per la tua prestazione, è tutto nel contratto, anche i premi». Ha tolto dalle buste paga persino le bibite consumate nei frigo-bar degli alberghi. Questione di principio più che di soldi. Ma, soprattutto, ha imposto sin da subito la legge del bilancio. Ha capito dal primo momento che in un mondo fortemente politicizzato e cristallizzato qual è il nostro calcio, soltanto la solidità economico-finanziaria avrebbe potuto garantirgli la possibilità di sfidare i grandi club. Non è superfluo ricordare che nel 2004 il Napoli era in Serie C e che Milan, Inter e Juventus erano colossi il cui potere era considerato eterno. Vent’anni dopo, nell’estate del 2024, né Milan né Juventus hanno avuto la solidità e il coraggio finanziario per poter ingaggiare l’allenatore più forte sul mercato: Antonio Conte. De Laurentiis invece ha messo i soldi sul tavolo. Tanti. Tantissimi: 6,5 milioni netti. Ma c’è anche chi dice che si arrivi a nove. Sempre netti. Non solo. Ha investito 150 milioni sul mercato estivo. 150 milioni. Senza incassare niente, perché Osimhen è finito in prestito al Galatasaray (poi a gennaio ha venduto Kvaratskhelia per 75). Nessun club in Italia oggi ha la forza economica, la liquidità del Napoli di De Laurentiis. E parliamo di un imprenditore che è lontano anni luce dai patrimoni personali di Percassi e Commisso, per fare due nomi.
La crescita del Napoli con De Laurentiis
Passo dopo passo (slogan caro ad Antonio Bassolino), ha fatto crescere l’impresa Calcio Napoli. Veniva deriso quando parlava di programmazione decennale. Eppure è filato tutto come aveva previsto lui. Nel primo decennio il Napoli è passato dalla Serie C alla Serie A in pianta stabile e ai piani alti, addirittura con due partecipazioni in Champions. Poi, nel secondo decennio, dal 2014 al 2024 (facciamo anche 2025), ha lavorato sull’irrobustimento del club e sul miglioramento dell’eccellenza. Il Napoli è sempre cresciuto, anno dopo anno, sia sul campo (a livello calcistico) che nei bilanci e nel potere. De Laurentiis è stato un maverick del calcio. Si è imposto da solo. Senza alleanze né carri politici. Del resto è un uomo che non ha minima l’inclinazione alla diplomazia. C’è un abisso con l’esperienza di Ferlaino il cui Napoli era profondamente intrecciato col potere economico e politico, basti pensare al ruolo che ebbero Banco di Napoli e pentapartito nell’affare Maradona. De Laurentiis ha fatto tutto da solo. In un’epoca in cui, uno dopo l’altro, sono caduti tutti i grandi alfieri della scena calcistica nazionale: da Berlusconi a Moratti, senza dimenticare Sensi o anche Della Valle. Loro scivolavano, vendevano, non reggevano. Lui, invece, scalava posizioni, conquistava spazi e visibilità. Applicando semplicemente (si fa per dire) l’abc della gestione d’impresa. Ha guidato la rivoluzione gerarchica del potere del calcio italiano. Napoli, Atalanta, Lazio, adesso Bologna. Le piccole imprese che conquistano Confindustria perché sono più ricche e hanno i bilanci in ordine.
Gli obiettivi futuri del Napoli
Oggi il Napoli è con ogni probabilità il club più potente d’Italia. Potente non nel senso italiano del termine, ossia con la capacità di influenzare. No. Il suo è un potere all’americana. Basato sul cash e non sulla cuginanza o sulle lobby. Il suo Napoli è il club italiano che per distacco ha il maggiore potere d’acquisto. E tra i tanti luoghi comuni che ha sfatato, ci sono anche quelli relativi alle infrastrutture. Il Napoli non ha un centro sportivo propriamente detto. Non ha una struttura giovanile competitiva. E non ha nemmeno lo stadio di proprietà. Forse saranno gli obiettivi del terzo decennio di programmazione. Quel che è certo è che il successo di De Laurentiis è certificato dai tanti tifosi delle squadre avversarie che invidiano ai napoletani il loro presid ente. Ma oggi, dopo due scudetti e tanto altro, anche i napoletani hanno cambiato idea.