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Zaniolo oggi, Riccardi domani

Non tutto è schifo, fidatevi, di questa Roma che attraversa il deserto con i flessori che saltano come tappi a ogni duna e ora la fischiano pure in sessantamila. Volenterosa e balbuziente. Ansiosa e perduta.

Lo so, il presente è mediocre e il futuro fa paura. Ti viene la pelle da cappone a buttare un occhio sulla palla di vetro, su quello che sarà da qui ai prossimi due anni. Svuotata in uscita, distrutta in entrata. Il meglio se n’è andato e quello che è arrivato non sappiamo ancora cos’è e quando lo sappiamo è meglio non saperlo. L’uomo di Siviglia, dal suo buio, dice anima in pena che il momento non è adesso, che bisogna aspettare e sperare, ma lui per primo sa che il guaio è fatto, la frittata gigantesca. Fa strage di cuori in città a far male l’undici della Roma sparita, da Alisson a Salah, e tanto di panchina, c’è Paredes, quanto sarebbe di questi tempi là in mezzo titolare, e c’è pure Gervinho, oggi con Cristiano Ronaldo l’attaccante più letale.

I sopravvissuti di valore ma non di plusvalenza sono lì ancora che tirano il gruppo ma vedono la clessidra che si svuota veloce, De Rossi, Kolarov, Dzeko. I giovani sono giovani e non possono essere oggi quello che diventeranno, forse, chissà, domani. Bianda e Coric, dodici milioni di euro in due più eventuali bonus che porterebbero a venti l’assurdo. «Abbiamo investito sul talento!» annunciò l’uomo di Siviglia. Kluivert ancora troppo leggero e dunque vago, Under così emotivo. In mezzo, tra i vecchi e i giovani, tante domande sospese e mediocri certezze. Florenzi, Manolas e Pellegrini non bastano a dirsi grandi. La gente è stufa e ha ragione. Si doveva fare il salto di qualità per avvicinare la Juve, lo senti l’eco delle risate? Per ritornare ai livelli della Roma pre-Monchi ci vorranno almeno due o tre mercati illuminati, a dir poco, a non sbagliare nulla.

Disperare dunque? Non proprio. In tanto sfacelo due nomi, due trisillabi, sono la speranza a cui puntellarsi con tutti i gomiti e le ginocchia sbucciate. Zaniolo oggi, Riccardi domani. Il primo fa impressione. Sembra crescere ogni secondo della sua vita di calciatore. Lo vedi e un secondo dopo è già migliore. Un metro e novanta bello a guardarlo e solido a sentirlo, eleganza e potenza nello stesso incedere. Mi gioco il gatto che amo, da qui a un anno fisso in Nazionale. L’altro, il ragazzino, dico solo questo, porta la maglia numero dieci e non deve arrossire. I due insieme saranno la Roma per cui tornare a sragionare.

A chiudere, una preghiera a tutti i tifosi belli e brutti, non fischiate mai più Steven Nzonzi. Non sarà il mezzocampista che serviva, ma la bellezza maestosa del suo volto e ieri, in panchina, la regale malinconia sono, anche se non calcistica, grandezza da ammirare.

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