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Roma-Juve, la grande notte di Dzeko

Doveva disputare questa gara con i bianconeri Invece è chiamato a caricarsi nuovamente la squadra sulle spalle. E a convincere sé stesso, oltre agli altri

Mentre Fonseca, riscattando un’epoca intera di tenebrosi segreti e paranoie allenatoriali, srotola la formazione della Roma che oggi affronta la Juventus sperabilmente senza porgere guance, viene voglia di chiedergli, quando ancora è all’inizio: e chi marca Dzeko? Restando sospesi tra ironia e distrazione per qualche attimo almeno. Quelli che marcheranno Dzeko, ovviamente, sono dall’altra parte, in mezzo alla difesa juventina. Contro tutte le previsioni, persino contro ogni buon senso. Ma è così che vanno le cose in quest’anno di incubi primordiali per tutti e di odor di miseria per il calcio. Il passaggio di Dzeko alla squadra a cui nel 2015 segnò il suo primo gol in Italia, accompagnato dalla sfrenata cacofonia che adesso l’Olimpico non può garantire, sembrava sicuro ed è venuto meno, di pari passo con quello di Milik alla Roma. Come altri affari fatti finché non è venuto il momento di frugarsi nelle tasche e di scoprire che non c’era un centesimo.

E dovrebbe esserci abituato, Dzeko, dato che la stessa cosa per un motivo o per l’altro, per ragioni di cuore o di bassa finanza, gli è accaduta più di una volta nella sua vita romana. Accidenti, stava per succedere anche quando alla Roma è arrivato dal Manchester City, in chiusura di un’estate fitta di allusioni, telefonate, incontri, smentite, trovate alla Walter Sabatini. Ma questa volta, temiamo, è diverso. Questa volta Dzeko aveva deciso e fosse per lui oggi sarebbe davvero dalla parte opposta del campo a farsi pestare da Ibañez e Kumbulla (e ovviamente il contrario, grazie). Non a cercare di proteggere il futuro di un allenatore del quale ha discusso l’idea stessa di calcio dopo la bastonata presa contro il Siviglia, non a onorare la fascia di capitano di una squadra che pure ama e il nome di una città che pure chiama casa, non a competere in condizioni di palese inferiorità (questo dice la lettura delle rose, poi il campo magari racconterà altro) l’attaccante forse più forte del mondo, Cristiano, e di certo il più sicuro di sé, accompagnato da collaboratori e complici più o meno della stessa categoria, da Kulusevski a Dybala a Morata, l’uomo che gli ha sottratto la terra promessa. Tuttavia chi conosce Dzeko (e anche chi semplicemente lo ha guardato dimenarsi con la maglia della Roma in mezzo a partite disperate e difese irte di chiodi e spine ha imparato a conoscerlo un po’), non dubita di lui. Compreso Paulo Fonseca, il tecnico che lo ha visto restare tenacemente seduto a Verona quando ancora erano, eravamo tutti sicuri che la manfrina si sarebbe spenta e la Juve, come da desiderio di Pirlo, sarebbe diventata di lì a poco la nuova squadra di un Edin tuttora indemoniato eppure stanco, alla sua età, di veder vincere.

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