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La mia fede giallorossa, Capello, Sensi e lo stadio

Al di là di quel che fa Zaniolo, al di là del successo di Dybala, al di là degli appuntamenti sul campo che nei “Pensieri Giallorossi” sono sempre al primo posto, mi piace ricordare, sollecitato anche dalla richiesta di due lettori, come sono diventato romanista. È banale, eppure la partenza è questa. Avevo un mio compagno d’infanzia, comunque di giochi, che era romanista e che, improvvisamente, diventò laziale. A quel punto, il sottoscritto - che poco seguiva il calcio e più il ciclismo - si è sentito obbligato ad essere molto più romanista di prima per contrastare l’amico laziale.

Col passare del tempo, ho scritto da qualche parte di questa fede giallorossa, per cui mi contattò Fabio Capello, grande allenatore della squadra, che volle conoscermi e, poi, quando la Roma vinse lo scudetto e da poco sentivo i clacson delle auto che, in festa, si raggruppavano per segnalare la vittoria della squadra, ricevetti una telefonata di Capello che mi domandò se ero contento. Mi sentii molto gratificato da questa telefonata e decisi che, giustamente, la mia fede sarebbe rimasta giallorossa.

Poi, ebbi l’opportunità di conoscere alcuni dirigenti o proprietari della squadra e Sensi insistette molto perché io andassi all’Olimpico a vedere una partita. Non mi fu facile spiegargli (ma si persuase), che, non essendo mai andato allo Stadio almeno in epoche recenti, se fossi comparso e la Roma disgraziatamente avesse perso, sarei diventato uno “iettatore” ufficialmente riconosciuto. Declinai perciò l’invito. Ma la fede giallorossa è sempre quella di quando ero giovanissimo.

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