Bruno Conti, come ci si sente a settanta anni?
«Mi sento in formissima, mi sento giovane, pieno di voglia di cose da fare. Sto bene fisicamente. Sto superando una situazione delicata, sta andando tutto alla grande, quel male brutto è passato, l’ho messo alle spalle. È tutto sotto controllo, gli ultimi test sono andati benissimo».
Quanto è stata importante la famiglia in questo periodo?
«La famiglia è la mia vita, ho una famiglia piena di valori, gli stessi che mi hanno trasmesso i miei genitori. Mio padre e mia madre mi hanno insegnato il rispetto per gli altri, l’umiltà, il sacrificio e io li ho trasferiti ai miei figli, i miei nipoti. Non andranno mai dispersi».
Non hai ancora smesso di scoprire talenti, fa parte del tuo Dna.
«Superato il momento di difficoltà ho ripreso a lavorare con più entusiasmo di prima. Ho la fortuna di avere vicino persone incredibili, che da anni mi segnalano i ragazzini più promettenti e poi io vado a valutarli. Il calcio di oggi è cambiato e dobbiamo far capire cosa significa far parte della Roma. Vedere l’entusiasmo di questi giovani è una grande soddisfazione».
Sono tanti i giovani cresciuti con te che sono arrivati in prima squadra.
«Pisilli era arrivato quando aveva nove anni, prima avevo preso Bove, Zalewski, Pellegrini. Vederli crescere e poi vederli giocare in prima squadra è una gratificazione per il mio lavoro. Per me è motivo di orgoglio lavorare per una società che ha sempre puntato nel settore giovanile, la Roma è la squadra che ha lanciato più giovani in Serie A».
Lo scorso anno quando Mourinho ti chiese di sostituirlo in panchina hai sofferto come quando giocavi.
«Josè venne a trovarmi nel mio ufficio chiedendomi questa cosa. Aveva avuto quattro giornate di squalifica e in quel momento serviva una figura di spessore per stare vicino alla squadra. Io continuavo a fare terapia, non potevo viaggiare in aereo, quando giocammo a Verona raggiunsi la squadra in treno. Per me fu una grande soddisfazione, quella di essere stato coinvolto da un personaggio incredibile. Non potevo dire di no, alla Roma non ho mai detto no, neppure quando sono tornato in panchina per salvarla dalla Serie B».