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Extra Time - un'altra volta felici, il regista: «Professionismo e dilettantismo devono dialogare»

Il lavoro di Carlo Alessandri è stato accolto benissimo: «Racconto la vita di gente che non ce l'ha fatta ma che vive lo stesso per una palla che rotola»

ROMA - Carlo Alessandri firma la sua prima opera da regista con il documentario Extra Time – un’ altra volta felici, in cui il calcio diventa uno strumento per raccontare le vite di Matteo e Gianluca, le loro aspirazioni e illusioni svanite in un attimo, ma soprattutto la forza di ricostruirsi una nuova vita, nonostante la delusione e le difficoltà. La loro storia è quella di tanti ragazzi che molto spesso non riescono a raggiungere il successo e la ricchezza sognati, ai quali il documentario vuole raccontare che, dopo la caduta, si può sempre ricominciare. Non è indolore, ma con una buona dose di coraggio e ottimismo è possibile. La partita della vita non è affatto persa …

Carlo, il tuo è un documentario che racconta il calcio dei non professionisti. Da dove nasce questa idea?
L'extra time è una metafora. Abbiamo preso la storia di due ragazzi che in realtà sono due miei cari amici. Il primo è un giramondo che è andato via di casa molto giovane, le ha provate tutte fino a sfiorare un ingaggio con i Glasgow Rangers e poi si è ritrovato senza squadra. L'altro è un giovane calciatore di Monterotondo che fa tutta la trafila fino a quando a 13 anni si ritrova a Trigoria, poi alla Lazio e infine alla Lodigiani che è in fallimento. Quando quella società fallisce, lui si ritrova senza una squadra. Per entrambi la scelta è obbligata: o riparti dal dilettantismo o rinneghi tutto il tuo percorso. Loro non sono fatti così e capiscono che il calcio è tutta la loro vita e non ne possono fare a meno. L'extra time nel mio film è una metafora del tempo supplementare nel quale la tua partita con la vita non è finita ma anzi ti regala la possibilità di vincere lo stesso la tua sfida tutta personale con il destino. 

Anche te, Carlo, sei un calciatore. Per la precisione sei capitano e portiere del Monterotondo calcio. Come mai hai scelto di intraprendere una carriera da regista? Se vogliamo sfati anche il tabù del calciatore tutto playstation e veline...
Questo film nasce dalla mia passione per l'arte e per il cinema. Ho lavorato molto nella distribuzione cinematografica e mi sono laureato nel settore mentre giocavo a pallone. Giocare nel calcio dilettantistico non è per forza un fallimento, anzi puoi goderti meglio le partite e divertirti di più, senza particolari ansie. Il cinema e il teatro restano interessi, la mia ragione di vita resta comunque il calcio. Extra Time è una dedica, una sorte di ode al gioco del pallone. 

Il calcio italiano non è in forma scintillante, soprattutto dopo la mancata qualificazione al Mondiale. Il calcio dilettantistico era invece sempre visto come l'unica speranza per una ripartenza. E' così ancora oggi o questo pessimismo generale sta intaccando anche da voi? 
Il calcio è un fenomeno sociale, non solo economico. Spesso quello che è nel contorno ne denota il carattere di questo universo. La gente non ha una bella idea del calcio e anche dentro le stesse federazioni passa il concetto che il dilettantismo è qualcosa di alternativo al professionismo. Non è così. Gli introiti sono differenti ma sempre di calcio si parla. Dovremmo appianare le divergenze e far dialogare questi due mondi. L'evoluzione del dilettantismo è il professionismo. Questo deve essere chiaro. 

Volendo fare un parallelo, il ruolo del regista è come quello del capitano di una squadra?
Io sarei più per associarlo a quello di un allenatore. Devi dirigere il gioco di una squadra composta da tanta gente e ogni giorno la devi motivare al punto giusto. 

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