La fiducia è un valore spesso troppo sottovalutato. Nella vita, come nello sport. Se hai il supporto della fiducia, puoi riuscire in tutto, anche scalare l’Himalaya, quando non ti saresti aspettata di metterti nemmeno gli scarponi. Con la fiducia si riesce a dare il meglio di sè stessi. A volte anche di più. Se è troppa, può anche fregarti, ma se è quella giusta e viene dalle persone giuste, genera quel valore aggiunto che, soprattutto ai giovani, mette le ali ai piedi. Gaia Giovannini, 22 anni, fatica ancora a comprendere cosa le sia successo. Prima di questa estate dei sogni, lei, giovane schiacciatrice di Vallefoglia, bolognese di nascita, la Nazionale l’aveva vista col binocolo. Mai selezionata prima per nessuna, dicasi nessuna, delle giovanili azzurre. Qualche apparizione nelle selezioni provinciali e regionali, una sola in quella interregionale. Poi, il silenzio. Fino ad aprile di quest’anno, quando Julio Velasco, uno che di fiducia ai giovani ne ha sempre data tanta, la convoca per il primo collegiale azzurro in vista della prima fase di VNL.
«Quando mi chiamarono rimasi scioccata. La aspettavo da una vita, ma non arrivava mai. Qualche allenamento in collegiale, ma quando si tratta di partire per il primo weekend di VNL, resto a casa. Mi dispiace anche se ero già contenta che qualcuno si fosse accorto di me. Improvvisamente mi richiamano per il terzo weekend a Fukuoka, inizio giugno.».
E lì dev’essere successo qualcosa che ha generato tutto il resto: il sogno reale, la chiamata olimpica.
«Sono sincera, avevo capito di avere una chance di andare a Parigi. Ma non c’era nulla di scontato. Ci speravo ma non potevo esserne sicura. Sentivo che in me c’era fiducia, quello sì. Poi un giorno, durante il collegiale di Cervia, ero in sala pesi. Velasco mi chiama da parte e mi dice: “Tu vieni a Parigi”. Stop, finito lì. Chiaro, diretto come in tutte le sue cose. E io scoppio a piangere. nemmeno nei sogni più belli me lo sarei potuta immaginare...».
E da quel momento?
«È iniziata, anzi continuata, l’estate più bella della mia vita. Faccio ancora fatica a realizzare quello che è successo. È stato tutto così veloce, tante emozioni e tutte insieme. È difficile da descrivere. La VNL, l’oro olimpico, le lacrime insieme ai miei nella “family zone”. Incredibile, tutto stupendo».
«Quando mi chiamarono rimasi scioccata. La aspettavo da una vita, ma non arrivava mai. Qualche allenamento in collegiale, ma quando si tratta di partire per il primo weekend di VNL, resto a casa. Mi dispiace anche se ero già contenta che qualcuno si fosse accorto di me. Improvvisamente mi richiamano per il terzo weekend a Fukuoka, inizio giugno.».
E lì dev’essere successo qualcosa che ha generato tutto il resto: il sogno reale, la chiamata olimpica.
«Sono sincera, avevo capito di avere una chance di andare a Parigi. Ma non c’era nulla di scontato. Ci speravo ma non potevo esserne sicura. Sentivo che in me c’era fiducia, quello sì. Poi un giorno, durante il collegiale di Cervia, ero in sala pesi. Velasco mi chiama da parte e mi dice: “Tu vieni a Parigi”. Stop, finito lì. Chiaro, diretto come in tutte le sue cose. E io scoppio a piangere. nemmeno nei sogni più belli me lo sarei potuta immaginare...».
E da quel momento?
«È iniziata, anzi continuata, l’estate più bella della mia vita. Faccio ancora fatica a realizzare quello che è successo. È stato tutto così veloce, tante emozioni e tutte insieme. È difficile da descrivere. La VNL, l’oro olimpico, le lacrime insieme ai miei nella “family zone”. Incredibile, tutto stupendo».
Dovesse selezionare i momenti più belli?
«Impresa difficile, quello che ho vissuto mi è piaciuto tutto e rimarrà per sempre nel mio cuore. L’ultimo punto, quello dell’oro, non può mancare. Ma per non essere banale dico l’ultima palla della semifinale con la Turchia. In quel momento ho, abbiamo capito quello che avevamo fatto e quanto mancasse davvero pochissimo per completare qualcosa di grande. E poi l’Inno prima dell’esordio con la Dominicana, con il palazzetto pieno alle 9 di mattina. Ecco, lì ho iniziato a sentire i brividi, a capire che ero davvero all’Olimpiade».
Nonostante l’età e la scarsa esperienza, non ha mai dato la sensazione di “subire” l’emozione: sicura, concentrata, impeccabile.
«In realtà, io sono quasi sempre tranquilla. Anche se ai Giochi qualcosa di più, qualche ansietta, un leggero nervosismo, l’ho provato. Ma più quando ero in panchina che quando ho avuto l’opportunità di entrare. E gran parte del merito è di Julio. È capace di farti sentire una fiducia incredibile, te la trasmette con ogni parola o gesto. Così sono sempre entrata in campo sicura».
È uno dei segreti dell’oro olimpico dell’Italia?
«Sicuro, ma non ce n’è uno solo. L’altro secondo me è stato il gruppo. Che ha avuto delle motivazioni incredibili, una determinazione feroce ed è stato capace di aiutarsi in ogni momento, focalizzandosi sull’obiettivo comune. Anche se ovviamente non potevamo essere tutte amiche. Subito dopo la partita facevamo delle riunioni solo tra noi per capire in cosa dovevamo migliorare».
A chi deve questa immensa soddisfazione?
«Intanto alla mia famiglia, a papà Roberto che gestisce un distributore di benzina, a mamma Valentina, impiegata alla Corte d’Appello del Tribunale di Bologna, e a mio fratello Giacomo. Senza il loro supporto, costante, quotidiano non sarei mai arrivata all’oro. A cominciare dagli inizi, quando dopo un po’ di danza classica e moderna per imitare le amiche, a 6 anni chiesi a papà di giocare a pallavolo vicino casa, a San Giovanni Persiceto».
Tecnicamente chi l’ha formata?
«Tutti gli allenatori con i quali ho lavorato mi hanno insegnato molto. Un grazie particolare lo devo a Deborah Mazzoli, che mi ha costruito le basi a Bologna, quando avevo solo 10 anni. Ma anche l’allenatrice dell’Anderlini mi ha dato tanto. Con Pistola, che ho avuto prima a Cuneo e ora a Vallefoglia, ho fatto l’ultimo salto di qualità».
Se il qui e ora di Velasco ha portato all’oro olimpico, il domani Gaia Giovannini come lo vede?
«Sono al terzo anno di scienze motorie ramo bio-sanitario all’Universita telematica Pegaso. Presto dovrei laurearmi, spero l’anno prossimo. Oggi mi piacerebbe fare la personal trainer con particolare attenzione all’alimentazione in ambiente psicologico».
«Impresa difficile, quello che ho vissuto mi è piaciuto tutto e rimarrà per sempre nel mio cuore. L’ultimo punto, quello dell’oro, non può mancare. Ma per non essere banale dico l’ultima palla della semifinale con la Turchia. In quel momento ho, abbiamo capito quello che avevamo fatto e quanto mancasse davvero pochissimo per completare qualcosa di grande. E poi l’Inno prima dell’esordio con la Dominicana, con il palazzetto pieno alle 9 di mattina. Ecco, lì ho iniziato a sentire i brividi, a capire che ero davvero all’Olimpiade».
Nonostante l’età e la scarsa esperienza, non ha mai dato la sensazione di “subire” l’emozione: sicura, concentrata, impeccabile.
«In realtà, io sono quasi sempre tranquilla. Anche se ai Giochi qualcosa di più, qualche ansietta, un leggero nervosismo, l’ho provato. Ma più quando ero in panchina che quando ho avuto l’opportunità di entrare. E gran parte del merito è di Julio. È capace di farti sentire una fiducia incredibile, te la trasmette con ogni parola o gesto. Così sono sempre entrata in campo sicura».
È uno dei segreti dell’oro olimpico dell’Italia?
«Sicuro, ma non ce n’è uno solo. L’altro secondo me è stato il gruppo. Che ha avuto delle motivazioni incredibili, una determinazione feroce ed è stato capace di aiutarsi in ogni momento, focalizzandosi sull’obiettivo comune. Anche se ovviamente non potevamo essere tutte amiche. Subito dopo la partita facevamo delle riunioni solo tra noi per capire in cosa dovevamo migliorare».
A chi deve questa immensa soddisfazione?
«Intanto alla mia famiglia, a papà Roberto che gestisce un distributore di benzina, a mamma Valentina, impiegata alla Corte d’Appello del Tribunale di Bologna, e a mio fratello Giacomo. Senza il loro supporto, costante, quotidiano non sarei mai arrivata all’oro. A cominciare dagli inizi, quando dopo un po’ di danza classica e moderna per imitare le amiche, a 6 anni chiesi a papà di giocare a pallavolo vicino casa, a San Giovanni Persiceto».
Tecnicamente chi l’ha formata?
«Tutti gli allenatori con i quali ho lavorato mi hanno insegnato molto. Un grazie particolare lo devo a Deborah Mazzoli, che mi ha costruito le basi a Bologna, quando avevo solo 10 anni. Ma anche l’allenatrice dell’Anderlini mi ha dato tanto. Con Pistola, che ho avuto prima a Cuneo e ora a Vallefoglia, ho fatto l’ultimo salto di qualità».
Se il qui e ora di Velasco ha portato all’oro olimpico, il domani Gaia Giovannini come lo vede?
«Sono al terzo anno di scienze motorie ramo bio-sanitario all’Universita telematica Pegaso. Presto dovrei laurearmi, spero l’anno prossimo. Oggi mi piacerebbe fare la personal trainer con particolare attenzione all’alimentazione in ambiente psicologico».
Con un oro al collo figlio della fiducia non ci sono montagne più alte da scalare. Solo godersi il momento. Qui e ora. Il futuro può attendere.