«Lorenzo sta dimostrando il suo valore. Rispetto a un anno fa, gioca un tennis più maturo, più concreto e anche più "sporco", come ha detto lui stesso. Ha imparato a gestire meglio il suo talento: rinunciando a volte al bel gioco ma risultando più cinico. Ora sa davvero come guidare la sua macchina. E sulla terra, è già tra i più forti del mondo». È un grande attestato di stima quello di Corrado Barazzutti nei confronti di Lorenzo Musetti, da lunedì ufficialmente tra i primi dieci del mondo. L’ex capitano di Coppa Davis – uno dei sei uomini azzurri ad aver raggiunto la Top 10 nell’Era Open (best ranking n.7) – affianca dallo scorso anno Simone Tartarini nel progetto di crescita del tennista di Carrara. Con personalità e autorevolezza, ma senza risultare invasivo, Barazzutti ha saputo inserirsi nel team. Oltre alle settimane di lavoro a Montecarlo, Corrado quest’anno ha intrapreso anche la trasferta sudamericana al fianco di "Muso". Dopo gli splendidi risultati di Montecarlo e Madrid, e con gli Internazionali BNL d’Italia ormai alle porte, arriva un punto su ciò che ha reso possibile questa straordinaria crescita.
Come fu il primo impatto? Ci sono dei video in cui parlava a Lorenzo con grande franchezza.
«Lorenzo è sempre stato un giocatore dal potenziale importante, in prospettiva uno di quelli con il miglior tennis al mondo. Lo scorso anno però gli mancava continuità, ordine e un po’ di fiducia in se stesso, facendo sì che solo sporadicamente riuscisse ad esprimersi al meglio. Però era solo questione di continuità e Tartarini stava già lavorando per dare continuità a queste doti».
Con Tartarini come si è trovato? E come interpreta le troppe critiche nei suoi confronti?
«Per me Simone non può essere messo in discussione: ha portato in Top 10 un bimbo a cui ha insegnato a giocare a tennis. Lorenzo era già tra i ragazzi più forti al mondo, nel 2022 vinse la finale di Amburgo contro Alcaraz, non dimentichiamolo. Tutti possono parlare, certo, ma alla fine contano i fatti. E da questo punto di vista, Tartarini è inattaccabile. Che piaccia o no, è uno dei migliori coach in circolazione: ha scoperto, costruito e sta guidando uno dei giovani più forti del circuito. Io sono stato chiamato per dare una mano: spero di averlo fatto e di continuare a farlo».
Lo scorso anno Lorenzo ci disse: «Gioco per diventare numero 1, non fosse così dovrei smettere». Quali sono gli step necessari?
«Dopo Sinner e Alcaraz in prospettiva ci sono Draper, Fonseca, Mensik e altri; ecco Lorenzo rientra nel novero di questi. Come loro, può ambire a diventare il più forte del mondo. Perché non dovrebbe provarci? Sta dimostrando il suo valore, ma soprattutto una straordinaria capacità di migliorarsi. Ha già compiuto un passo fondamentale: riequilibrare il suo talento con un tennis più concreto. Poi serve lavoro quotidiano. I risultati, quelli, arrivano di conseguenza».
Ricorda com’è stato per lei entrare in Top 10? Aveva l’importanza che gli si attribuisce oggi?
«Io allora non guardavo molto la classifica. Giocavo e cercavo di vincere il più possibile. Sono stato numero 7 del mondo e ho giocato un Masters, ma non correvo dietro al ranking. Certo, mi sarebbe piaciuto salire ancora, magari vincere uno Slam, avendo giocato la semifinale a New York e Parigi. Inoltre da ragazzo avevo vinto l’Orange Bowl, quando contava davvero ed ero considerato il più forte al mondo della mia età. Poi, in quegli anni, c’era anche un certo Bjorn Borg... A Parigi mi ha fermato due volte».
Non sappiamo se sarà l’ultimo Foro di Fognini, un campione di cui forse ci si è dimenticati troppo in fretta.
«Il grande momento del nostro tennis ha un po’ offuscato il passato recente e ciò di buono che giocatori come Fabio, non solo lui, hanno fatto per sostenere il movimento prima dell’arrivo di Sinner e degli altri. Potrebbe essere un peccato. Ora si guarda – forse giustamente, non lo so – solo al presente e non a ciò che è stato. L’importanza che ha avuto Fognini però resta evidente».
Dal ritorno di Sinner cosa si aspetta? Lo stop è stato lungo, ma senza gli impedimenti di un infortunio.
«Questo è ciò che ho sostenuto in questi mesi. Jannik non era infortunato, e anzi, giocatori del suo livello non disputano tantissimi tornei rispetto ad altri: si prendono spesso delle pause di qualche settimana. Certo, è stato uno stop più lungo, ma ha potuto preparare questo rientro. Quando si sta lontani dall’atmosfera agonistica alcuni fanno fatica a riprendere, altri invece trovano ritmo senza problemi. Nel caso di Jannik, viste le circostanze, credo che sarà nelle condizioni perfette per farsi valere».