«L’Italia, probabilmente, investe in questo sport più di tutte le altre federazioni messe insieme. Sono impressionato dalla voglia di tennis di questo Paese. Maestri che si fanno 500 chilometri solo per portare i propri allievi a vedere un torneo. È qualcosa di incredibile e di grande valore». Brad Gilbert, ex numero 4 del mondo e uno dei coach più importanti al mondo, non usa mezzi termini per elogiare il tennis azzurro. Allenatore di leggende come Agassi, Roddick, Murray e, più di recente, Coco Gauff, Gilbert non ha bisogno di presentazioni tra gli appassionati. La sua visione "scacchistica" del tennis, ben raccontata nel celebre best seller "Winning Ugly", è il suo marchio di fabbrica. Sbarcato a Roma per il 7° Simposio Internazionale, il tecnico americano ha voluto rendere omaggio allo straordinario momento del movimento tricolore.
Che spiegazione si è dato del fenomeno Italia?
«Per me è iniziato 10 anni fa organizzando tanti tornei ITF e Challenger, permettendo a tanti ragazzi di avere una chance. Nel ranking adesso l’Italia vanta tanti Top 100, molti sono più o meno coetanei di Sinner e non è un caso. Il vostro Paese ha costruito un sistema che non solo sostiene i giocatori, ma fa lo stesso con coach, preparatori e fisioterapisti. Sinner è la ricompensa finale, ma c’è molto altro nel tennis italiano».
Si aspetta un Sinner protagonista da subito?
«Fino all’Australian Open ha dominato, nell’ultimo anno e mezzo non ha praticamente mai perso prima di una semifinale. Per quanto mi riguarda non avrebbe dovuto saltare neanche un torneo. Roma gli servirà per arrivare al massimo della condizione a Parigi. Dico questo perché, per quanto ci si allena, non è possibile ricreare le dinamiche della partita. Serve giocarle. Fare bene qui, dopo aver saltato il torneo per infortunio lo scorso anno, sarebbe importante».
Personalmente preferisce le grandi rivalità o l’imprevedibilità attuale la diverte?
«La cosa divertente è che i media - e lavorando con ESPN, mi ci metto anch’io - non sono mai contenti. Quando ci sono i “Big Three”, si parla delle prestazioni deludenti degli altri. Quando mancano, il problema diventa l’assenza dei top player. Io mi godo semplicemente quello che accade, a prescindere. In questi tre mesi sono arrivati i risultati di Draper e Mensik, mentre Alcaraz ha fatto un po’ di fatica con il fisico. Adesso molto dipenderà dal rientro di Sinner: se tornerà al livello con cui aveva lasciato, le sorprese saranno decisamente meno».
In questo tennis la fisicità conta sempre di più, è ancora possibile “vincere sporco”?
«Certamente. L’ultimo grande baluardo di questa filosofia, facendolo molto meglio di me, è stato Andy Murray. Questo concetto si basa sulla voglia di competere e fare tutto ciò che è in proprio potere per vincere. Da tennista mi sarebbe piaciuto il tennis di Agassi o Sinner, ma dovevo cavarmela con i mezzi che avevo. E secondo me nel circuito sono tanti i ragazzi che possono fare bene spremendo fino all’ultima goccia del loro tennis».