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Fritz, l'intervista esclusiva: "Il ritorno di Sinner? Non so cosa aspettarmi"

Le parole del tennista statunitense: "Io non lo guardo in modo diverso rispetto a prima, infatti ci siamo allenati insieme. Sarei impressionato se vincesse già qui a Roma"

«La finale degli Us Open e quella delle Nitto ATP Finals sono state due partite diverse. A New York avevo l’impressione di non poter fare niente contro Jannik, mentre a Torino non mi sono sentito così lontano». A 27 anni, l’ascesa di Taylor Fritz è affascinante perché umana: fatta di alti e bassi, dentro e fuori dal campo. Un ragazzo che ha imparato a conoscersi e a conoscere il proprio tennis. Precoce sì, ma a volte tradito da un’istintività che per anni è stata croce e delizia. Campione junior degli Us Open nel 2015, nove anni dopo si è trovato a un solo match dal riportare agli USA un trionfo Major che manca dal 2003, quando Roddick vinse proprio a Flushing Meadows. Qui a Roma difenderà un importante quarto di finale e, in vista del debutto di sabato, si è allenato con Jannik Sinner. Guardandosi intorno, avrà sicuramente notato i bambini arrampicati sulle statue e su ogni rialzo possibile pur di vedere qualche scambio, avrà sicuramente captato cosa significhi oggi questo torneo per il pubblico romano. 

Dopo il documentario di Alcaraz tutti si chiedono se sia possibile vincere senza ossessione. Qual è il confine che consente di essere un top player senza sacrificare tutto? 
«È molto difficile trovare un equilibrio, anche perché è qualcosa di soggettivo. Alcuni hanno bisogno di prendere fiato, altri pensano solo al tennis. Io do il meglio quando sono motivato, ma allo stesso tempo rilassato. Per sentirmi così ho bisogno di tempo per fare cose che mi piacciono nel tempo libero, questo mi aiuta a scendere in campo con le energie giuste. Serve fare così, anche perché credo che la stagione duri più del dovuto e noi giochiamo troppo».  

Lo scorso anno ha giocato la miglior stagione della carriera, condita dalla finale degli US Open. Come ha vissuto la notte prima e quella successiva alla finale? 
«Alla vigilia del match con Sinner ero davvero carico, onestamente non sentivo il nervosismo che mi sarei aspettato prima di una finale Slam. Quando sono entrato in campo avevo il sorriso in faccia, anche perché giocare per vincere lo US Open era ciò che ho sognato tutta la vita. Dopo invece mi sono sentito abbastanza male. Non per la sconfitta, ma perché mi aspettavo di poter giocare molto meglio. Con una prestazione migliore, il mio umore sarebbe stato differente anche con lo stesso risultato. In quel momento la famiglia e gli amici hanno fatto un buon lavoro nel farmi vedere le cose positive». 

Alle Finals infatti gioca due match quasi perfetti contro Jannik. Cosa pensa un giocatore quando non bastano prestazioni simili? 
«Dopo il primo match mi sentivo molto bene, dopo la finale è stato più difficile. Rispetto alla finale degli US Open avevo sensazioni diverse. A New York avevo l’impressione di non poter far niente da fondo, mentre a Torino non ero dominato ed è stato importante per trovare fiducia. La differenza nelle due sfide l’hanno fatta i punti importanti, dove lui si è espresso meglio. Però ho preso spunto per capire dove posso fare ancora meglio in futuro». 

Dal ritorno di Jannik cosa si aspetta? Ha avuto anche lei la percezione di sguardi diversi nei suoi confronti? 
«Onestamente no, sicuramente io non lo guardo in modo diverso rispetto a prima, tant’è che ci siamo allenati insieme. Non so se vincerà il titolo già qui a Roma, sarei molto impressionato. Fisicamente sarà in salute, ma quando non si compete per un po’ a volte possono volerci delle settimane per tornare a pieno regime. Non so esattamente cosa aspettarmi». 

Come gestisce le aspettative esterne di chi inizia ad aspettarsi vittorie ogni settimana e si chiede il perché se non succede? C’è il rischio che il benchmark diventi la finale Slam? 
«Accade spesso a un tennista. Ogni volta che fai bene fissi nuove aspettative e mi sono abituato. È accaduto quando sono entrato in Top 10 ed è successo adesso dopo la miglior stagione della mia carriera. Se fai bene ci si aspetterà sempre di più l’anno dopo e finora sono sempre riuscito a convivere con il peso delle aspettative e crescere». 

Ha detto che secondo lei i tennisti giocano troppo… 
«Io so che giochiamo troppo». 

Ecco, quanto può dipendere dalla gestione del singolo tennista e quanto dal tour? 
«Noi non abbiamo potere per cambiare le cose. Se ci fosse una votazione tra i tennisti per accorciare il calendario di un mese, scommetto che l’80% dei giocatori sarebbe a favore. Se dipendesse da noi la stagione sarebbe più corta, ma è difficile rinunciare a dei tornei perché andrebbe a influire sulla mia classifica. Vorrei avere del tempo per staccare, ma non voglio perdermi dei tornei dove tutti i miei rivali sono in campo». 

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