Una manifestazione che all’epoca era abbonata al segno meno, e che adesso invece ogni volta fa registrare più, più, più...
«Gli Internazionali sono diventati l’evento sportivo più importante in Italia. Lo sono per partecipazione costante di pubblico in ognuna delle sue giornate di svolgimento, con un’aspettativa di 400.000 spettatori per questa edizione. E lo sono anche per l’indotto che generano per la città, con un Pil di novanta milioni per fatturato. E che nella sua durata concede una opportunità lavorativa a tremila persone».
Come si è arrivati a questo successo di crescita all’ennesima potenza, consolidatosi nel tempo?
«Il concetto fondamentale è quello di squadra, con Coni e Fit tutti a spingere nella stessa direzione, a partire dai rispettivi presidenti Giovanni Malagò e Alberto Binaghi, e ancora il Comitato Tecnico di Gestione con figure pure importanti quali il segretario generale Roberto Fabbricini e il suo vice Carlo Mornati. Lo spirito di squadra è un valore aggiunto che ha fatto prendere subito una strada all’evento e non gliel’ha fatta più lasciare. Anche quando a un certo punto, per esempio, con la nuova presidenza del Coni potevano esserci cambiamenti nella formazione. E invece si è andati avanti con la stessa filosofia, continuando appunto con progressi e miglioramenti. Uno dei mie tanti giovani collaboratori l’altro giorno mi ha mandato una frase di Seneca: “Non è perché le cose sono difficili che non osiamo, è perché non osiamo che sono difficili”».
Con Roma e gli Internazionali, peraltro, impegnatissimi nel tentativo di farsi ulteriormente largo nel circuito Atp: la prospettiva è quella di crescere ancora fino a diventare un mini Slam sulla terra rossa, con almeno dieci giorni di match dei tabelloni principali.
«Un altro risultato importantissimo, dopo questi anni di crescita costante, è stato che prima eravamo noi ad andare all’estero per studiare i nostri avversari e cercare di far meglio di loro, colmando magari quelle che potevano essere le nostre lacune, e adesso invece la situazione s’è del tutto ribaltata. Ripeto: prima eravamo noi a guardare a Montecarlo, a Madrid, o agli altri Masters 1000, adesso i fatti dicono che li abbiamo superati . Siamo molto invidiati per tutto quello che è diventato il Foro ma anche perché ormai abbiamo un’affluenza di spettatori pressoché costante in ogni giornata del torneo (non lo dice, ma viene da pensare subito al “competitor” Madrid e alle sue prime tristi giornate... - ndr). Il pubblico è un termometro importante, per valutare la riuscita di un evento, e il nostro trova ormai tutto quello che desidera: grande tennis, divertimento, socializzazione, integrazione».
Per chi farà il tifo?
«Per Roger Federer. Per quello che è, un grande campione, ma anche per un altro motivo: perché ancora non è mai riuscito a vincere a Roma».
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