FIRENZE - Dice di aver preso il meglio dei due Paesi dove prima è cresciuta e poi è diventata donna e atleta di livello mondiale. E se lo dice lei, ci crediamo. Ma quello che stupisce di Ekaterina Antropova, 21 anni, mvp del mese di ottobre della Lega femminile pallavolo, è la capacità di raccontarsi in maniera schietta, profonda e analitica e con una proprietà di linguaggio sorprendente dopo appena sei anni di Italia, un diploma in Relazioni Internazionali per il marketing e studi appena avviati in psicologia. Per non parlare della semplicità davvero merce rara, nonostante l’oro olimpico che porta al collo.
La sua è una storia nella storia, figlia di Michail, ex pivot di 212 cm e di una giocatrice di pallamano, Olga, alta 190 cm: con un Dna del genere che lei arrivasse a 202 cm ci stava. Meno che fosse la seconda giocatrice di pallavolo più alta al mondo (dopo i 204 cm dell’americana Rettke). Anche perché a Kate, la pallavolo proprio non piaceva: «Ho fatto qualsiasi cosa per smettere, ma all’epoca quello che pensavo o volevo fare non veniva preso in considerazione da mia madre. Mi facevano male le braccia, l’allenatrice mi urlava addosso. Più volte ho provato a lasciare anche perché mi ero messa in testa che il mio sport fosse la ginnastica ritmica. Niente da fare. Adesso dico per fortuna. Alla fine ha avuto ragione lei...».
Ma prima di continuare, torniamo al prologo: a tre mesi lascia con la famiglia l’Islanda dove era nata - ad Akureyri - e si trasferisce a San Pietroburgo, città nativa dei genitori. Qui comincia il suo peregrinare tra uno sport e l’altro, la ginnastica sognata e il volley imposto, e alla fine il secondo marito di mamma Olga - anche lui medico di basket - capisce che dolori o meno la ragazza per la pallavolo era decisamente portata. E convince Olga e Kate a scegliere l’Italia. Detto e fatto. Olga e Kate vanno subito a Reggio Calabria da un’amica, Dina Yasakova, schiacciatrice degli anni 80-90, scomparsa l’anno scorso, che mise in contatto madre e figlia con Irina Kirillova, indimenticata palleggiatrice dell’era d’oro di Urss e Russia (e del campionato italiano) nonché moglie di Gianni Caprara. Che consigliò Kate e Olga di andare all’Academy di Sassuolo, da Carmelo Borruto.
La seconda vita della signorina Antropova, è un’altra lunga storia. E nasconde una coincidenza sconvolgente. L’11 agosto del 2023 Kate su Instagram mostra orgogliosa il passaporto italiano appena ritirato. Esattamente a un anno di distanza eccola commuoversi con l’oro olimpico al collo appena vinto con la Nazionale di Velasco. «Incredibile, non ci avevo fatto mai caso. Questa me la segno. Non sono mai stata una persona che vive di aspettative, ma anche volendo, non avrei mai immaginato anche solo di partecipare a un’Olimpiade, il sogno di tutti gli atleti, figuriamoci di vincerle. E lo stesso giorno in cui sono diventata italiana un anno prima. Certo che la vita è strana...».
Vero, ma è frutto di una scelta fortemente voluta.
«Sicuro, è stata la nostra vittoria, mia e di mia madre e di tutte le persone che ci hanno aiutate a conseguirla. Vincere il ricorso al TAS dopo quel tesseramento della Federazione russa per un collegiale della nazionale under 16 al quale non avevo mai preso parte, era il tassello di un percorso importante che aveva visto i primi tesseramenti proprio qui in Italia. Ecco, l’oro olimpico è stata la manifestazione materiale di una giustizia morale e terrestre».
Si ricorda il primo pensiero dopo l’ultimo punto del trionfo olimpico a Parigi?
«Il nulla cosmico, ho sentito un’emozione così forte, così intensa che non sapevo se ridere o piangere. Vincere l’oro era una di quelle cose che per le quali non avevo aspettative, volevo solo dare il massimo, tentarle tutte per non avere rimpianti, che mi potessero devastare».
Quanto è legata alle sue radici russe?
«Tanto. Mi piace il capodanno, le usanze, i cibi. Sono le cose che mi fanno venire il mood natalizio. E poi a San Pietroburgo c’è mio padre, il mio patrigno, i miei nonni. Ci sono tornata quest’estate quando finalmente ho avuto qualche giorno libero, non vedevo papà da tre anni...».
L’impressione comunque è che la sua anima italiana sia già bella definita...
«Già, dico a tutti che è il mix ideale, ho preso il meglio dei due Paesi. Certo, all’inizio qui non è stato facile, ma mi hanno lanciata subito nella mischia tipo “tuffati e nuota” e così ho fatto, non avevo alternative. E devo dire che la pallavolo mi ha aiutata tanto a integrarmi. È il grande merito dello sport, tutti gli sport, che rimane uguale in qualsiasi posto si vive o lingua si parli».
Sorride quando le chiedono se e quanto si senta italiana?
«Il giusto. L’Italia mi ha dato una solarità che prima non avevo e penso che sia banalmente inevitabile se cresci in una città come San Pietroburgo, bellissima, ma che vede il sole 50 giorni all’anno. Sono stata sempre molto introversa, l’Italia mi ha aperto la testa, soprattutto nei confronti degli altri».
Nella vita di tutti i giorni quanto ha pesato la sua altezza?
«Abbastanza. Non ho mai capito perché qualcuno debba giudicare un’altra persona per via della propria altezza. Dicono “sei troppo alta”, ma troppo per cosa, qual è l’unità di misura?».
L’ha cambiata l’oro olimpico?
«Vorrei dire di no, perché in realtà ha solo confermato tutti gli sforzi e i sacrifici fatti fino a quel momento. Allo stesso tempo, non si può negare che portare quell’oro dentro ti aggiunge più responsabilità e quella consapevolezza alla quale devi comunque sempre rendere conto. Sia chiaro, non è un peso, ma c’è».
Cosa le ha dato Velasco durante la stagione azzurra?
«La chiarezza. Quello che mi è piaciuto di più di lui è che è stato diretto sin dal primo giorno, assegnando ruoli precisi a tutte noi. Io ad esempio sapevo di dover fare il doppio cambio e su quello mi sono impegnata anche con il mental coach...».
Anche perché si trattava di un ribaltamento dopo quello che era successo l’anno precedente con il dualismo con Paola Egonu.
«È sempre difficile fare confronti con persone e situazioni diverse. Anche perché non mi ero fatta pesare nemmeno quella contingenza».
Domenica ha rivisto Danesi, Egonu e Sylla (la Orro era ko ndr) battendole al tie-break dopo 5 set in cui ha messo a terra 34 punti di cui 5 ace e 3 muri: cosa vi siete dette?
«In realtà, poco e niente. Sono abituata a distinguere quando gioco con il club rispetto a quando sto in Nazionale. Per me erano di Milano, al netto delle esperienze incredibili che abbiamo vissuto insieme...».
Sinceramente, Scandicci può ritentare l’assalto allo scudetto?
«Sono pragmatica e senza aspettative, come detto. Stiamo lavorando per ricreare le condizioni e avere un’altra occasione». Avanti così, Kate.
Corriere dello Sport
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