Come ha iniziato a boxare?
«Giocavo a calcio, ma è uno sport di squadra e mi dava fastidio che la vittoria o la sconfitta non dipendessero solo da me. A Porretta c’era una palestra, ho iniziato a 17 anni. Il primo giorno me lo ricordo: vidi quello che poi è diventato il mio primo sparring, sentivo la paura, una sensazione di fatica, di duro lavoro. Mi piacque molto».
Chi le ha insegnato a essere così?
«Da papà. Ex culturista, forte, muscoloso, ha un’azienda: è l’unico proprietario e l’unico dipendente, fa tutto lui. Lavorazioni metalmeccaniche particolari. Stava dalle 6 di mattina alle 8 di sera da solo. Sì, la durezza l’ho presa da lui: mai un sorriso, un abbraccio. So che è fiero di me, ma non dimostra affetto: non ricordo coccole, un abbraccio. Non ho problemi a parlarne».
E la fragilità?
«Penso sia innata nell’essere umano, il mio punto debole sono i sentimenti. Sono buono di cuore. Però non mi commuovo tanto. E non piango mai».
La boxe toglie davvero dalla strada?
«Sì, non è retorica. Se non avessi fatto a botte sul ring le avrei fatte per strada. Sono felice della mia scelta. Ci sono ragazzini che mi scrivono su Instagram: vogliono che chiami i genitori per convincerli a fare boxe».
E lei?
«Gli lascio il numero. Alcuni li convinco, altri no. In Italia c’è una cultura sbagliata del pugilato. Vorrei cambiarla. Molti conoscenti sono rimasti chiusi nel vortice della strada, nelle cavolate. Fanno sempre le stesse cose, sono ancora lì».
Com’è crescere a Porretta?
«Bello e brutto insieme. C’è poco, quindi ti sposti a Bologna. Quello è il brutto. La cosa bella è che hai il desiderio di evadere da quel buco».
Cosa si è tatuato addosso?
«Ho cinque tatuaggi. Il primo è stato un azzardo: “Nike”, la dea della vittoria in greco dietro l’orecchio. Avevo quindici anni, ho sempre sognato di diventare un vincente. Poi ho il nome di Jennifer sul polso, la mia ragazza, mi ha insegnato tanto, e mi sta insegnando tanto. Mi tiene su. Stiamo insieme da poco, lei ha fatto un anno in Australia, io ad Assisi. Poi ci siamo incontrati di nuovo. Realizziamo i nostri obiettivi».