ROMA - Chi ama il calcio non può che amare Gonzalo Higuain. E’ un centravanti moderno, un giocatore intelligente e tatticamente avveduto. Ha una potenza fisica esplosiva, tocca la palla con classe, ha velocità e fisicità, aiuta i compagni, è egoista il giusto, ha una voglia di vincere che lo trasporta in ogni movimento in campo. Per il suo rapporto febbrile con il gol mi ricorda Ronaldo, il brasiliano, spietato e astuto. Ma ha la forza, l’accelerazione e il tiro di un Gigi Riva e ora, con Allegri, ha acquisito una nuova capacità di regia offensiva che lo rende davvero, forse, uno dei tre attaccanti più forti al mondo. Higuain vuole vincere, considera questa la missione di uno sportivo che faccia della competitività un valore, persino morale.
Argentina e Italia mi sembra si somiglino molto. E’ vero, secondo lei?
«Sì e tanto. Infatti penso che sia il paese d’Europa che più le assomiglia. E’ una cosa vera. C’è un legame di sangue, fatto dall’emigrazione e forse un legame di sentimenti. Ci assomigliamo anche nel modo di vivere il calcio. Che è tanto importante nelle emozioni di argentini e italiani».
I due modi di giocare a calcio si assomigliano?
«Non lo so. Penso non tanto. Per me sono due modi di giocare diversi, per storia, tattica, ambiente. Ciò che li unisce è che sono ambedue molto competitivi e molto passionali».
Come ha cominciato a giocare a calcio?
«Ho cominciato a giocare a calcio da bambino. Avevo cinque o sei anni. Sono cresciuto in una famiglia calcistica. Mio padre Jorge è stato un difensore di qualità: ha militato nel River e nel Boca. Fin da bambino ho respirato l’odore del cuoio e ho seguito mio padre in tutte le sue avventure calcistiche.
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