Monchi, le sue ragioni

Un silenzio che fa rumore
Monchi, le sue ragioni© LAPRESSE
Giancarlo Dotto
3 min

Gentile Monchi, sarebbe bello sapere cosa le passa per la testa passeggiando con la famiglia per le calli e i sospiri di una città che sembra inventata apposta da qualche genio malato per spingerci nel magnifico baratro di una visione che non ha senso, il più frequentato e infrequentabile miraggio turistico del pianeta. Morte ma anche sorte a Venezia. Mai come lì, tra il delirio delle carovane mordi e fuggi e la bellezza che ti avvolge illesa, morire non sembra così indecente e darsi all’azzardo estremo l’unica attività possibile. In nessuna città come Venezia viene naturale lasciarsi andare a quella meditazione che è il bilancio di una vita. Siamo stati forse un pochino brutali con lei. Ma sono i fatti a essere brutali e, mi creda, quella del tifoso romanista, quando ha tempo di ascoltarsi, fuori dalle grevi mischie dei social, è un’anima ferita.
Qualcuno si deve incaricare di raccontarlo, ci siamo presi questo dovere di farlo. Hai voglia a dire maglia. Il calcio dei tifosi, lei, andaluso, lo sa benissimo, si nutre d’identificazioni profonde. Proprio a Roma si è consumato il più vertiginoso caso d’identificazione tra una città e un suo idolo della storia del calcio, nel nome di Totti. Anche volendo e non potendo dimenticare ogni valutazione tecnica, in due anni lei ha firmato la “sparizione” dal mondo giallorosso di facce e nomi con i quali i tifosi flirtavano da tempo, avendo stabilito l’unica connessione che conta, quella del cuore. Che sarebbero le gondole a Venezia senza il canto ruffiano e accalappiatore dei gondolieri? E basta con la storiella che sono i giocatori a volersene andare. Non ce ne frega nulla di quello che bazzica nella testa dei giocatori. Sono mercenari? Perché non dovrebbero esserlo? Non lo siamo forse tutti? Conta solo quello che loro rappresentano nella grande camera cardiaca del tifo. E qui i tifosi romanisti sono stati brutalizzati oltre ogni sopportazione. Se i tifosi amano un giocatore, quel giocatore deve rassegnarsi ad essere amato. Un club forte ed empatico fa questo, vuole questo.
Caro Monchi, a pochi passi e a qualche metro di laguna, nel cimitero di Sant’Elena sono sepolte le ceneri di Helenio Herrera, l’uomo che drogava il mondo con le parole. Si faccia raccontare dalla vedova Fiora (abita lì vicino al ponte di Rialto) chi era Helenio e perché non si è mai sottratto al dovere della parola e del confronto. E perché considerava il silenzio come una troppo comoda e inammissibile fuga. Era un manipolatore? Chi non lo è o non cerca di esserlo quando apre bocca?
Sarebbe bello sentire le sue ragioni. Da quel non luogo unico di Venezia. Ora, con tutta la civiltà di cui la sappiamo capace, libero di spiegare e confutare, senza aspettare il mediocre aiuto di qualche risultato a favore.


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