Il Campione, l'intervista a Stefano Accorsi e Andrea Carpenzano

I due protagonisti del nuovo film prodotto da Matteo Rovere ci sono venuti a trovare in redazione per un'intervista esclusiva. Carpenzano: «La Roma è dei tifosi e Totti è arte». Accorsi: «Cultura e sport possono cambiare la vita»
Il Campione, l'intervista a Stefano Accorsi e Andrea Carpenzano
Francesca Fanelli
9 min

ROMA - Valerio a un certo punto sarebbe capace di fargli fare qualsiasi cosa a Christian. Valerio non è uno qualunque, non solo perché ha la faccia e i modi persuasivi di Stefano Accorsi. «Tutti a scuola abbiamo avuto un professore così, che ha saputo insegnarci qualcosa e ha aperto una porta», la spiegazione di Accorsi è verissima. Ed è la chiave giusta con cui leggere “Il Campione” film di sentimenti con una coreografia calcistica.

Accorsi è il professore di un talento del pallone, viziato e indisciplinato: «Ho un ruolo complicato perché Christian ha un apprendimento più visivo che mentale, oltre ad aver avuto un cattivo rapporto con la scuola. Ma piano piano è proprio la cultura a ridargli fiducia, visto che nel film il presidente della sua squadra di calcio decide che se non supera gli esami a scuola, la domenica successiva non va in campo. Alla fine viene fuori un messaggio importante: ci sono situazioni, come lo sport, la cultura o l’apprendimento in generale, che possono realmente cambiarci la vita. E si apre la porta».

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Il film l’ha già visto Totti e lo ha approvato. «Posso essere sincero? E’ proprio così...», le parole dell’ex capitano sono state il miglior veicolo che potessero immaginare. Aggiunge Accorsi: «Abbiamo girato a Trigoria e all’Olimpico, la potenza del luogo è pazzesca, dà adrenalina anche a chi non è tifoso. Ci sono poi scene liberatorie, come un gol segnato, che hanno un impatto fortissimo: tutto questo fa tornare alla vita il personaggio e regge i fili del racconto».

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Tanto teatro e cinema nella sua carriera, ma nella sua vita poco sport (anche se ha girato alcuni film, come “L’arbitro” per esempio) e soprattutto poco calcio, che ora può solo subire: «In famiglia ho molti tifosi e tutti preparatissimi, io mi metto in ascolto e provo a imparare, ma a volte basta sbagliare un dettaglio, una consonante per ritornare al punto di partenza... Però lo sport mi piace, mi piace da esplorare, serve a confrontarci con i nostri limiti e a superarli. Come idea funziona nella mente e nel corpo».

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È nato così “Il Campione”. Lo ha intrigato il progetto (“il film sullo sport può essere insidioso, ma dipende...”), l’ha convinto la possibilità di lavorare ancora con Matteo Rovere (con cui aveva fatto “Veloce come il vento”): ha letto il copione (“bellissimo potenziale”), ha sistemato alcuni dettagli, ha lavorato con la sua coach e ha vestito gli abiti di Valerio, il professore che tutti noi avremmo voluto incontrare.

 

L'INTERVISTA AD ANDREA CARPENZANO

Da Manolo e Alessandro e ora da Christian, Andrea Carpenzano ha preso e anche dato. Qualcosa per sentire i personaggi più suoi, una vena di realismo borgataro mista al mood giovanil-provocatorio, perché ci si ricordasse di questo ragazzo che ha il fisico di un ballerino e vuole fare l’attore. Al di là di quello che si pensa dei tipi della sua generazione, Carpenzano vuole in maniera ossessiva mantenere un basso profilo. Non dice faccio l’attore, ma «lavoro nel mondo del lavoro», il che non vuol dire che non abbia consapevolezza di sé e di ciò che fa, ma sceglie la via tranquilla, usa parole dirette, espressioni anche poco ricercate e vive di dubbi. C’è malinconia nello sguardo, Andrea è un ragazzo di oggi, nel viso dai lineamenti tagliati, nei tanti anelli portati alle dita, in quel cerchio all’orecchio destro, nei capelli lunghi che tocca spesso e raccoglie con le mani in una coda per poi farli ricadere sulle spalle. Ha 24 anni, Roma è la sua città, è figlio della romanità e del giallorosso. L’aver vestito le magliette e gli scarpini di Christian Ferro che ne “Il Campione” è un goleador della Roma, lo rende orgoglioso e gli è talmente tanto piaciuto che non vuole quasi farlo vedere. Quando parla trascina le parole, chissà se per godersele di più o per lasciarle cadere senza peso. Almeno per il momento.

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Se non avesse fatto l’attore cosa avrebbe fatto?
«L’oste, mi piace il vino. Mi piace berlo, è il mio vizio. Sono un esperto, ne capisco. Per il resto non sono buono a far niente».

Com’è stato girare a Trigoria, all’Olimpico?
«Un’emozione, anche quando ho esultato sotto la Curva. Mi sono sentito Delvecchio con quella sua corsa discontinua. E’ stato tutto strano, tutto grande, quando li vedi in Tv sembrano più piccoli».

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E Totti com’è?
«Quando è venuto sul set, io non c’ero. L’unico giorno che non ci sono stato...».

Il suo rapporto con lo sport?
«Zero, per girare il film sono andato in palestra per la prima volta».

E con il calcio?
«Sono una... pippa. Adesso dopo tante lezioni i piedi prendono una direzione più giusta, ma non fa per me».

Lei è romanista, la Roma cosa rappresenta?
«La Roma è dei tifosi. Totti ha fatto la storia. Totti è arte. De Rossi rappresenta il romanismo. Voglio De Rossi tutta la vita nella mia squadra. Loro hanno un pensiero comune, tengono alla società. Monchi? L’unica cosa buona che ha fatto è stato aver preso Zaniolo, ma era nel pacchetto, per il resto a Roma lui non stava bene e si è visto».

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È mai andato allo stadio?
«Tante volte, in curva. Da là si vedono le partite più belle, ma ora non ho più il fisico».

Il giocatore più forte al mondo?
«Messi e... Totti».

Ma ha un piano B nella sua vita?
«No, in realtà non ho neanche un piano A».

Eppure dicono che lei è bravo?
«Dicono, già. Forse un po’, ma nella vita ci vuole anche fortuna. Per ora andiamo avanti così, più avanti capiremo».

La stagione della Roma com’è?
«La Roma è così, sembra un’annata deprimente, ci si deprime tutti, invece, è ancora là, in lotta per un posto in Champions. Per capirla bisogna essere romanisti veri».

I suoi genitori hanno visto il film?
«Sì, mia mamma ha detto: bello»


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