Il Torino di Mondonico e due storie di calcio estero

Giocatore ma soprattutto allenatore: lo stretto legame che unì Mondonico ai colori granata. E poi calcio estero: quando il Lussemburgo operaio fermò il grande Liverpool e la diversità del Valencia.
Il Torino di Mondonico e due storie di calcio estero
Massimo Grilli
6 min

Quanto ci mancano i suoi toni garbati, quel sorriso appena accennato, quei ragionamenti intelligenti sul calcio. Questo libro doveva uscire nello scorso settembre per celebrare i cinquant’anni in granata di Emiliano Mondonico, e invece la sua morte - avvenuta ormai quasi un anno fa, il 29 marzo del 2018 - ha necessariamente comportato un cambio di rotta. Ne è scaturito ugualmente un libro affettuoso e prezioso, nel descrivere la parabola di questa talentuosa ala destra, che debuttò in serie A il 29 settembre del 1968 (era stato acquistato dal presidente Pianelli per sostituire Gigi Meroni, appena scomparso) contro il Pisa: La “recluta” - così fu ribattezzato da “La Stampa Sera” - piacque subito e andò anche in gol. Fu però una delle sue poche gioie in maglia granata, tanto che nel 1970 fu ceduto al Monza, dopo aver giocato in due campionati appena 14 partite (con due gol). Ben diversa è stata la sua carriera da allenatore del Torino, vissuta in due diversi periodi, dal 1990 al ’94 e dal 1998 al 2000. Stagioni tumultuose e di grandi soddisfazioni: Mondonico è l’allenatore dell’ultimo trofeo vinto dai granata - la Coppa Italia del 1993 - e della ormai celebre sedia alzata contro l’ingiustizia e le sciagurate decisioni dell’arbitro nella finale di ritorno della Coppa Uefa del 1992, persa solo per il minor numero di gol segnati in trasferta (andata 2-2 a Torino, ritorno 0-0 ad Amsterdam) dopo avere eliminato tra le altre un certo Real Madrid. Questo, e tanto altro, troviamo in questo libro: lo splendido rapporto con la famiglia, l’affetto reciproco con la tifoseria del Torino, il senso di un uomo che anche nella battaglia finale con la malattia non ha mai perso il gusto della lotta. Ad accompagnare il testo di Gandolfo, tante foto inedite e il commosso ricordo di tre protagonisti del “suo” Torino: Galbiati, Fusi e Cravero.
TUTTO IL TORO DEL MONDO, di Beppe Gandolfo; Priuli & Verlucca editori, 160 pagine, 9,90 euro.

Due splendidi libri di calcio internazionale, due storie che ci riguardano comunque da vicino. Partiamo dalla Jeunesse d’Esch, chiamata la Juventus del Lussemburgo, per le sue maglie bianconere e per i tanti scudetti conquistati (28). Con una squadra di dilettanti (in buona parte italiani), composta da studenti, minatori, operai, nel 1973 fermò sul pareggio (1-1) il fortissimo Liverpool nel primo turno di Coppa dei Campioni. Bill Shankly, il leggendario coach dei Reds (lui pure figlio del popolo e con un passato da minatore) dopo la gara portò quasi di peso il suo capitano, Emlyn Hughes, negli spogliatoi avversari e gli disse: «Guarda quelli lì, guardali bene. Domani loro andranno a lavorare in fabbrica». E’ una storia straordinaria di calcio, di immigrazione, di solidarietà, con il quartiere Hoehl, “terra di ferro, operai e pallone”, come punto centrale. Tonio Attino, che non a caso arriva da Taranto, dove si è interessato ed ha scritto delle vicende del colosso siderurgico dell’Ilva, si destreggia alla grande tra le storie minute degli abitanti di Esche-sur-Alzette, una delle capitali dell’acciaieria europea (dove cinquant’anni fa un abitante su tre era italiano), storie che si incrociano con le vicende storiche del secolo scorso - dalle lotte operaie alla resistenza al nazismo - e alle cronache del grande sport, dalla sfida al Real Madrid di Puskas e Di Stefano alla tragedia dell’Heysel, dal Milan di Trapattoni alla Juventus di Platini. Il calcio dei poveri e quello dei ricchi, la storia dell’industria e quella delle migrazioni, senza cadere mai nella retorica.
Dal Lussemburgo ci spostiamo in Spagna, dove Alfonso Fasano ci regala una descrizione esemplare ed esauriente del calcio alla valenciana, quel futbol volto alla ricerca continua del bel gioco (il cosiddetto “valencianismo, un modo di intendere la vita che persegue ideali di bellezza, divertimento e passione”), a scapito anche dei risultati. Una squadra che può vantare un passato di successi abbastanza recente (gli ultimi scudetti sono datati 2002 e 2004, più due finali di Champions League raggiunte nel 2000 e 2001) che sono evidentemente anche la causa del particolare disincanto attuale, la “insatisfaccion: i tifosi del Valencia si sentono insoddisfatti perché prigionieri del ricordo di un successo, ma soprattutto di un futuro che difficilmente li vedrà alla pari dei club più forti”. Come la città è un affascinante mix di medioevo e modernità, rappresentata questa dal complesso della Città delle Arti e della Scienza, così il suo club vive tra la nostalgia dei bei tempi andati e il bisogno di affrancarsi dai vecchi schemi, come dimostra la presenza, dal 2014 come presidente, del miliardario di Singapore Peter Lim. Fasano ci porta a spasso per la città, spaziando dalle Fallas - le feste più attese dell’anno, tra febbraio e marzo - alla paella (l’unica vera paella, secondo i valenciani), dai grandi allenatori che hanno guidato la squadra (Benitez, Cuper, Ranieri), agli italiani che l’hanno resa più competitiva (uno su tutti, Amedeo Carboni, ancora una istituzione bianconera) e ci ricorda quando il grande Cruyff venne a giocare per qualche mese da queste parti, scegliendo però la seconda squadra di Valencia, il Levante, che allora era pure in B. Un libro fresco e saporito come una “Orchata de Chufas”.
IL PALLONE E LA MINIERA, storie di calcio e di emigranti; di Tonio Attino, edizioni Kurumuny, 158 pagine, 13 euro.
FUTBOL ALLA VALENCIANA, di Alfonso Fasano; Los Flaneurs edizioni, 135 pagine, 13 euro.


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